Vecchi e nuovi muri alla Casa Bianca

L'elezione di Donald Trump sollecita un'analisi attenta sulle  radici culturali delle scelte del popolo statunitense.  Dai muri alle frontiere alle politiche energetiche e militari. La questione cattolica nella logica bipolare. Seconda parte dell'intervista al professor Flavio Felice
Trump

Continuiamo nell'intervista al professor Flavio Felice, presidente del centro studi Acton Tocqueville, a  proposito dell'elezione alla presidenza Usa di Donald Trump e all'incognita delle scelte reali del nuovo inquilino della Casa Bianca sullo scenario mondiale. 

 

Papa Francesco ha avuto un diverbio a distanza con Trump evidenziando che erigere i muri di separazione non è opera da cristiano. Questo non sembra aver inciso sull’elettorato cosiddetto cattolico. Un motivo potrebbe essere perché dall’altra parte c’era la Clinton ?

 

«Anzitutto andrebbe detto che la vittoria di Trump è avvenuta con margini ristretti solo perché c’era Hilary come sfidante. Ai democratici non serviva certo un altro Obama per vincere, bastava un candidato normale, senza gli enormi scheletri nell’armadio della Clinton. Né le sue conclamate avversioni verso un ruolo positivo e proattivo delle religioni nello spazio pubblico. Secondo indagini demoscopiche fatte all’uscita dei seggi, il 52% dei cattolici e il 60% dei protestanti ha votato per Trump. Per giunta, quest’ultimo ha annunciato che si adopererà per l’elezione alla Corte Suprema di giudici pro life. Ma allo stesso tempo intende inserire anche personalità favorevoli al secondo emendamento (sul possesso di armi, ndr)».

 

Il destino di chi propone una visione integrale di accoglienza della vita dal grembo materno alla fine naturale passando attraverso tutte le fasi dell’esistenza (lavoro, migrazioni, ambiente, etc…) è destinato a non trovare spazio nella logica bipolare?

 

«Come è stato notato qualche anno fa da Navarro-Valls, questa polarizzazione dei valori è tipica dell’arena politica USA: da un lato la tutela della vita nascente e il diritto alla legittima difesa, dall’altro i non meno importanti valori del lavoro, dell’uguaglianza fra tutti i cittadini e del rispetto della “casa comune”. Di qui si vede la matrice protestante del Paese che ha plasmato il suo discorso pubblico: quella cattolica invece non è una logica dell’aut-aut, ma dell’et-et. D’altra parte, meglio una politica conflittuale sul piano dei valori (e un elettorato attento anche a questa dimensione) che una politica che li ignora (e un elettorato secolarizzato che coltiva un indifferentismo etico, come spesso accade dalle nostre parti). Quanto al diverbio tra Papa Francesco e Trump, tocchiamo un punto molto delicato e non vorrei essere frainteso. Molti osservatori ritengono che le parole di Papa Francesco abbiano finito per giocare un ruolo decisivo in questa elezione. Prendiamo il caso delle primarie in South Carolina, il candidato Marco Rubio, quello che potrebbe essere definito un cattolico moderato in materia di immigrazione, stava andando molto bene. Il South Carolina ha una lunga storia di razzismo, lì è cominciata nel 1860 la guerra civile, e Strom Thurmond è stato un senatore di quello Stato per quasi mezzo secolo. Ancora più importante è il fatto che il South Carolina è fortemente Battista e in parte i suoi abitanti si definiscono come “non cattolici”. Il Santo Padre ha detto: “se dice queste cose, quest’uomo non e Cristiano”. Dato che i battisti credono nella sola Scrittura e non ritengono che tale giudizio si possa evincere direttamente dalla Bibbia, ciò ha spinto tutti i candidati, tra i quali diversi cattolici, a correre a difesa di Trump. Sono tanti gli analisti che ritengono che le parole del Papa si siano rivelate un aiuto involontario a Trump, dal momento che la netta vittoria alle primarie in South Carolina ha rappresentato forse il punto di svolta nella marcia verso la Casa Bianca. Ad ogni modo, al netto dell’interesse per le ricadute politiche, affermare che chi costruisce muri tra le persone non si comporta in maniera cristiana la trovo semplicemente una frase di buon senso e che un Pontefice deve affermare sempre e comunque».

 

A prescindere da tutto, ci sono segnali positivi a suo giudizio che potrebbero arrivare dall’elezione di Trump? 

 

«Trump riceve in eredità dall’era Obama un Paese economicamente in ripresa (cui non attribuirei interamente il merito di ciò). Il tasso di disoccupazione è fermo intorno al 4 per cento. Un dato fisiologico per una grande economia industriale, checché se ne voglia dire.

Dal punto di vista interno, Trump dovrà essere abile nell’introdurre alcuni punti “simbolici” del suo programma senza ingenerare pericolose spirali involutive del sistema economico del suo complesso. Se non cederà al protezionismo, se saprà dialogare con la maggioranza repubblicana al Congresso nel rispetto delle reciproche competenze, potrà mantenere un trend positivo. Più incognite certamente ci sono intorno al ruolo degli Usa in politica estera, dove credo però che lo storico pragmatismo dei conservatori, dopo la parentesi idealista neoconservatrice (e qui forse risiede la maggiore differenza tra il presidente neoeletto e George W Bush), potrà risolversi in una stabilizzazione del sistema internazionale. A quale prezzo? Certo non si tratterà di un gioco a somma zero. E se globalmente potremo magari ricavarci un periodo di pace, a perderci nel breve periodo potrebbe essere proprio l’Europa, a meno che non intraprenda con vigore la via federalista, quella auspicata da Einaudi e da Sturzo».

 

Qui la prima parte dell'intervista

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