Varianti dei vaccini: la sfida (non calcistica) con l’Inghilterra

Com'è la situazione oggi rispetto all'anno scorso in Italia? E cosa ci insegna la nuova impennata di casi di Covid nel Regno Unito, nonostante il massiccio ricorso ai vaccini? Un approfondimento
I tamponi, strumenti essenziali per la lotta al Covid-19

Siamo alle prime battute della bella stagione, ma guardando i dati della pandemia nel nostro Paese, ci si accorge subito che, nonostante il clima decisamente estivo, la situazione è diversa dall’anno scorso. Cerchiamo di capire cosa è cambiato dall’estate 2020.

La prima differenza è la base di partenza dell’epidemia: il 3 giugno 2020, quando fu rimosso il divieto di spostamento fra le regioni, in Italia c’erano 4,44 casi ogni 100.000 abitanti alla settimana; i malati di COVID erano poco più di 36.000 e in ospedale si trovavano circa 6.000 persone. La maggior parte dei casi era concentrata nelle regioni del Nord, soprattutto in Lombardia, e larghe aree del Paese erano state quasi del tutto risparmiate dal dilagare dell’infezione.

Ad un anno di distanza, dopo altri due picchi pandemici molto più rilevanti del primo, il 3 giugno 2021 in Italia c’erano quasi 200.000 malati (circa 6 volte tanti), distribuiti in maniera piuttosto uniforme sul territorio nazionale; i ricoverati però erano sempre intorno ai 6.000, a dimostrazione sia della maggior efficacia delle procedure di gestione dei pazienti, sia dell’effetto protettivo dei vaccini verso ospedalizzazione e decessi.

Un’altra enorme differenza è il fatto che il periodo della primavera del 2021 è stato caratterizzato da restrizioni molto meno marcate del primo lockdown, con scuole, attività essenziali e servizi aperti, persino nelle zone rosse: e per la prima volta dal maggio del 2020, questa estate è possibile circolare all’aperto senza mascherine.

La riduzione delle restrizioni si combina con la diffusione di varianti del Sars-Cov-2 che generano attenzione per la loro prevedibile maggior capacità di diffondersi, specialmente fra coloro che sono privi di una copertura vaccinale.

Dalle prime evidenze e dall’analisi delle informazioni disponibili, appare sempre più evidente che l’effetto di queste varianti è più epidemiologico che clinico: la loro capacità di diffondersi è maggiore, mentre sembrano poco o punto diversi gli effetti della malattia.

Questo è vero soprattutto in chi è vaccinato: dall’analisi dei dati del Regno Unito diversi articoli scientifici evidenziano che, rispetto ai contagi, i vaccini hanno il 10% in meno di efficacia contro la variante Delta rispetto ad Alpha (79% contro l’89%). Le due iniezioni di vaccino offrono però percentuali di efficacia superiore contro le ospedalizzazioni, con una protezione del 93% nel caso di Alpha e del 96% contro la variante Delta.

Il Regno Unito si trova oggi in una condizione di elevata copertura vaccinale nella popolazione e grande circolazione della più temuta ed efficace variante delta del Sars-COV-2; e in effetti, negli ultimi giorni si assiste, per la prima volta, ad un aumento di tamponi positivi senza un corrispondente aumento di ospedalizzazioni e decessi. È sulla base di questa condizione che il governo britannico ha deciso di rimuovere praticamente del tutto le restrizioni principali nel Paese, nonostante i casi siano in salita, continuando a spingere sull’acceleratore di una campagna di immunizzazione ormai in vista del traguardo.

Insomma, convivenza con il virus e fiducia nella vaccinazione.

Ad oggi in Italia la situazione è simile a quella della Gran Bretagna di qualche settimana fa: coperture vaccinali che cominciano ad essere rilevanti, almeno per quanto riguarda la prima dose, massicce riaperture seguite da un incremento degli indicatori precoci della circolazione del virus nel Paese.

In effetti, dall’inizio di luglio hanno smesso di scendere e sono in leggero aumento sia l’incidenza settimanale sia il tasso di positivi su tampone (che abbiamo imparato essere l’indicatore più precoce per prevedere l’andamento dei nuovi casi nei prossimi giorni).

Continuano a scendere, almeno per ora, i ricoveri ordinari e quelli in terapia intensiva: ma è presto per dire se continuerà così. La domanda di fondo è: i nostri dati somiglieranno sempre di più a quelli dell’Inghilterra, consentendoci di affrontare con maggiore libertà e sicurezza la fase di convivenza a lungo termine con questo nuovo virus?

Ad oggi, tutte le evidenze indicano che la risposta dipenderà da quanto in fretta e da quanto estesamente completiamo la copertura vaccinale, sia nelle fasce a maggior rischio sia in quelle giovani.

Se l’estate scorsa è stata caratterizzata da troppe irresponsabilità e leggerezze, quest’anno le persone sembrano maggiormente consapevoli che di “Coviddì” ce n’è e ce ne sarà ancora parecchio nei mesi a venire.

Se si è compreso questo, e si è capito che l’unica possibilità di vivere normalmente nei prossimi anni dipende dalle scelte collettive (prevenzione e vaccinazione in testa), allora possiamo guardare al futuro con fiducia.

 

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