Vangelo vivo tra gli uomini
C’è in ogni uomo e in ogni donna di questo pianeta una chiamata verso la pienezza di vita, e questa chiamata è più originaria di qualsiasi altra cosa, più originaria di ogni forma di peccato e di male; è proprio questa chiamata alla felicità che alimenta la speranza. Lo sottolineavano i vescovi italiani in Educare alla vita buona del Vangelo, il documento che offre l’orizzonte per il cammino ecclesiale di questo decennio.
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Più volte l’uomo ha vanamente cercato il proprio benessere nel possesso dei beni, sperimentando cocenti delusioni. Quando invece il suo cuore si è aperto a vivere relazioni significative con gli altri, allora dinanzi ai suoi occhi è apparsa la strada per la felicità. Appare infatti chiaro il nesso indissolubile fra esperienza di felicità ed esercizio dell’amore. È cioè evidente che «l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé». Il teologo francese Yves Semen usa precisare che, il dono “sin-cero” rinvia agli antichi mercanti di miele, che avevano la premura di vendere il dolce prodotto delle api depurandolo accuratamente dalla cera. In tal senso, vivere un’esperienza di fraternità che va oltre i legami della carne e del sangue vuol dire avviarsi a un’esperienza gioiosa: annunciare la possibilità della stessa comunione del giardino primordiale.
Eppure, proprio le relazioni tra le persone più significative della nostra vita sono spesso fonte di travagli e sofferenze. Da un lato aneliamo alla comunione e all’unità, dall’altro proprio il raggiungimento della comunione è fonte di sofferenza.
In tal senso la Chiesa, come communio personarum, appare come il luogo dove sperimentare la grazia di una comunione risanante che corrisponde alla nostalgia che ci portiamo dentro. Siamo frutto di un dono gratuito e l’amore trinitario del Padre, del Figlio e dello Spirito è la nostra origine. Nello stesso tempo però viviamo il limite della nostra umanità, assaporando l’amarezza di ciò che inquina l’amore. Così, anche in parrocchia, l’ira, la maldicenza o addirittura la calunnia passano talvolta per le nostre sacrestie, accompagnano gesti rituali come l’accensione di candele o anche, paradossalmente, la recita del rosario
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La questione allora è che la Chiesa non è una comunità di persone infallibili, sempre sorridenti o che non discutono mai. È invece una comunità di peccatori redenti, guariti dalla grazia di Cristo, capaci di dirsi ogni giorno: «permesso», «grazie» e «scusa», com’è necessario fare in famiglia.
Proprio la famiglia diventa allora il metodo e il paradigma su cui costruire la Chiesa e la comunità parrocchiale.
Se la Chiesa, come afferma Evangelii nuntiandi, «esiste per evangelizzare»,la famiglia come piccola chiesa domestica vive continuamente questo mandato del Signore Gesù.
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Il luogo dove primariamente si vive l’evangelizzazione è l’amore sponsale che, con la forza della grazia, diventa sacramento dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. Nel sacramento del matrimonio gli sposi vivono la straordinaria bellezza di ciò che avviene a Cana di Galilea dove il Signore Gesù trasforma l’acqua in vino, l’amore umano in amore divino.
Leggendo in chiave sponsale questo primo segno della presenza di Gesù, nel Vangelo di Giovanni possiamo intravvedere nell’acqua l’amore umano di tante giovani coppie che intendono maturare la volontà di volersi bene per tutta la vita, la loro capacità del “per sempre”. Nel vino appare poi la nuova realtà del sacramento del matrimonio: ciò che diventeranno dal momento della celebrazione unendo il loro “sì” a quello di Dio, unendo la loro fragile fedeltà all’incrollabile fedeltà della roccia di Cristo. A Cana avviene il miracolo più bello dell’amore, lo stesso che papa Benedetto XVI ha raccontato a una coppia di fidanzati durante il VII Incontro mondiale delle famiglie a Milano:
Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente “secondo vino” è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici.
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Dio ha scelto da sempre di porre la luce del principio nella fragilità di un uomo e di una donna che, rialzandosi dalle continue cadute, si amano per sempre. L’unico vangelo che i figli possono leggere, fin dai primi anni di vita, con facilità, è quello dell’amore dei genitori che li introduce nel mistero dell’amore di Dio. E la stessa vita familiare ha bisogno di nutrirsi di questo linguaggio della gratitudine e dell’affidamento, per rigenerare e far fiorire i legami tra i suoi membri.
L’amore forte e fedele del papà sarà il segno del Padre celeste che sostiene sempre il nostro cammino con la forza della sua mano e non viene mai meno alla sua fedeltà; l’amore tenero e dolce della mamma introdurrà i figli nelle cure amorevoli della Chiesa che, come una madre premurosa, sa accogliere tutti in modo unico e insostituibile. In questo modo la piccola chiesa domestica diventa un “Vangelo vivo” che illumina ogni realtà: il quartiere, il luogo di lavoro, la comunità parrocchiale, la società. Il faro, ben fondato ed elevato, effonde una luce forte ed estesa che infonde fiducia e dà sicurezza nella navigazione della vita. La Chiesa è luce-faro di verità e di grazia per tutti, nella storia e nel mondo.
La luce evangelica del matrimonio e della famiglia risplende nella Chiesa perché come un faro sappia illuminare il cammino della storia e in ogni piccola chiesa domestica perché come una fiaccola risplenda in tutta la casa e nella comunità.
Il giardino del principio, cinque vie per un nuovo Umanesimo in famiglia, di Paolo Gentili (Città Nuova, 2015)