Valenza politica dell’astensionismo

Un elettore su tre non è andato a votare, quasi un partito che in pochi mesi ha riunito il 10% dei votanti. Un gesto consapevole, ma anche un monito alla politica: essere più vicina alla gente.
Elettori al seggio

Non fatevi distrarre. Continueranno a dire che i dati sono diversi da regione a regione (verissimo), che siamo ancora dei votanti incalliti rispetto agli altri Paesi europei (altrettanto vero), che ci sono stati pasticci in fase di presentazione delle liste (d’accordo), ma i dati restano inoppugnabili.

 

Un elettore su 3 non è andato a votare (il dato complessivo dell’astensionismo è del 35,8 per cento) e, rispetto alla consultazione regionale di cinque anni fa, è andato alle urne quasi l’8 per cento in meno (si è passati dal 72,01 del 2005 al 64,22 di quest’anno). La percentuale è addirittura inferiore rispetto a quella registrata per le europee dello scorso anno. Il che è tutto dire.

 

«Dobbiamo fare in modo che la partecipazione democratica cresca alle prossime elezioni: questo è un compito di tutta la classe politica, senza distinzione», ha subito commentato il ministro degli Interni Roberto Maroni. Parole sacrosante, che sarà opportuno non dimenticare e tornare a far presente ai dirigenti di tutti i partiti.

 

La flessione nell’affluenza è molto rilevante nel centro-nord. E questo è un dato che già dovrebbe preoccupare. La punta è stata toccata nella Capitale, con un – 13 per cento che diventa un’emorragia (- 17) se il dato viene raffrontato alle ultime consultazioni comunali.

 

I partiti tenderanno rapidamente a rimuovere il dato dell’astensionismo, perché suona come un esplicito ed imbarazzante monito. «È un segnale molto forte alla politica, è un forte campanello d’allarme per il Palazzo», ha commentato Nando Pagnoncelli, presidente dell’Ipsos, istituto di sondaggi. «È un fatto storico – hanno rilevato Piergiorgio Corbetta e Pasquale Colloca, dell’istituto di ricerca Carlo Cattaneo –. Si tratta del calo più marcato da Dopoguerra, che ha peggiorato anche l’affluenza delle europee dello scorso giugno». E aggiungono: «Significa che in nove mesi è nato un partito che vale il 10 per cento».Il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, si aspettava «di peggio, visto l’enorme senso di distacco dimostrato dalla gente di fronte a una campagna elettorale tutta puntata sulla personalizzazione dello scontro e non su proposte concrete».

 

Quale morale se ne ricava? Che l’astensionismo è stata una scelta consapevole dell’elettore, non un gesto di pigrizia. Che i non votanti dei ceti popolari – in prevalenza colpiti dalla crisi – si sono sentiti abbandonati per mancanza di proposte concrete ai loro problemi. Che gli astensionisti delle altre classi non hanno visto uno straccio di progetto politico. Che gli uni e gli altri valutano i vari esponenti dei partiti non all’altezza della delicata situazione. Che… e si potrebbero aggiungere altre motivazioni.

 

Quali rimedi? Un’indicazione illuminante giunge sempre dall’analisi dei dati elettorali di questa tornata, ma proviene dalle elezioni comunali. Nei 460 comuni in cui s’è votato la flessione è stata contenuta al 3,05 per cento. La ragione, come è stato subito rilevato, è che si tratta del livello di governo più vicino alla gente, più concreto, più immediatamente verificabile nelle scelte e nelle conseguenti realizzazioni. La società civile è perciò vicino alla politica, proprio là dove la politica resta vicina ai cittadini.

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