Valentina e le colpe dei medici obiettori

Una giovane mamma siciliana è morta insieme ai figli che aveva in grembo. Per i familiari è stata colpa dei medici contrari all'aborto, per l'ospedale si è trattato di una tragedia. Torna la questione della contrapposizione tra diritti delle donne ad interrompere la gravidanza e quelli dei medici a non andare contro coscienza. Una riflessione  

Valentina era una giovane mamma. Da cinque mesi, dopo una fecondazione assistita, era finalmente rimasta incinta. Lei e il marito erano felicissimi. Il loro sogno di avere una famiglia sembrava realizzarsi, avrebbero avuto un maschietto e una femminuccia. “Proprio quello che volevamo”; ha raccontato tra le lacrime il marito.

 

Valentina è morta qualche giorno fa. Per una sospetta dilatazione dell’utero è stata ricoverata nell’ospedale “Cannizzaro” di Catania. Dopo qualche settimana, per sopraggiunte complicazioni, ha perso i bambini ed è morta. Una tragedia familiare, un dolore enorme, che ha portato alle cronache una situazione che, dalle prime indagini, sembra non c’entri con questi decessi: la presenza, in ospedale, di medici obiettori. Di dottori, cioè, che non praticano l’interruzione volontaria della gravidanza, secondo quanto previsto dalla legge 194. Un dato sconvolgente, per alcuni, che lede i diritti della donna. Un dato che davvero fa riflettere.

 

Perché tanti medici scelgono di non togliere la vita a quello che per alcuni è solo un ammasso di cellule e che per altri è un bambino, pur nelle sue fasi iniziali di vita? Una risposta banale che mi sono data leggendo i quotidiani è che, chi per vocazione ha scelto di far nascere bambini, probabilmente troverà difficile piegare la propria professionalità e la propria coscienza fino ad ucciderli. Secondo i dati del 2015 del Ministero della Salute, relativi al 2013, negli ultimi anni si è raggiunta una stabilizzazione, dopo un aumento dei valori di obiezioni di coscienza, soprattutto tra i ginecologi. La percentuale media è del 70 per cento, dunque più di 2 medici su 3. Tra gli anestesisti è del 49.3%, tra il personale non medico è del 46,5. Si può chiedere ad un medico che si impegna per difendere la vita, di scegliere invece di “interromperla”?

 

Nonostante in Italia il parto appaia un fatto normale, nasconde sempre una percentuale di rischio. Secondo i dati diffusi il 24 ottobre dall’Istituto Superiore di Sanità, grazie ad un sistema di sorveglianza della mortalità materna in 8 regioni (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia), che coprono il 73% dei nati in Italia, c’è un rapporto di mortalità materna pari a 9 decessi ogni 100.000 nati vivi. Tra il 2006 e il 2012 su 100 donne morte a seguito di complicazioni ostetriche della gravidanza e del parto, 43 sono decedute per emergenze emorragiche. In altri paesi non è così. Secondo l’Unicef, ad esempio, ogni cinque minuti in India muore una donna per cause legate alla gravidanza e al parto, per circa 80mila decessi l’anno. Ad ogni nascita, in fondo, davvero c’è un miracolo che si ripete. Il miracolo della vita, che primeggia sulla morte. L’aborto è un diritto, secondo quanto stabilisce la legge, ma è un diritto anche rifiutarsi di praticarlo. Agli ospedali il compito di organizzarsi per garantire a ciascuno la libertà di decidere secondo coscienza.

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