Vaccini per tutti: dalle parole ai fatti
Lunedì 27 settembre si è svolta a Roma la tavola rotonda “Vaccini per tutti: dalle parole ai fatti”, un incontro promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce in cui i rappresentanti di diverse associazioni e istituzioni si sono messi insieme per dialogare sull’importanza di una distribuzione equa dei vaccini, specialmente fra i più vulnerabili.
Tra gli organizzatori dell’evento l’associazione americana SOMOS Community Care e l’agenzia Rome Reports, in collaborazione con Harambee Africa e Caritas Internationalis. Punto cardine della discussione è stato l’incoraggiamento a rafforzare la solidarietà e la cooperazione tra le istituzioni private e a proseguire nel sostegno sanitario ai più bisognosi.
Padre Christian Mendoza, esperto della Pontificia Università della Santa Croce ha condiviso la visione della Chiesa riguardo l’applicazione del vaccino e ha ricordato che, secondo la Congregazione per la dottrina della fede, «il vaccino contro il Covid non è di norma un obbligo morale, per cui dovrebbe essere volontario». Tuttavia, basandosi sull’Evangelium Vitae e il catechismo della Chiesa cattolica ha sottolineato che è un nostro dovere il prenderci cura della nostra vita e la nostra salute fisica. In questo senso, emerge il bisogno di prendersi cura anche dei bisogni degli altri, del bene comune, e in questo caso, le autorità politiche stanno ricorrendo al vaccino per compierlo. Per seguire le raccomandazioni della Chiesa, Mendoza ha fatto appello a due strumenti principali: la ricerca di informazioni veraci e di qualità, e l’impegno per trovare i mezzi migliori che siano in grado di garantire il “bene maggiore” che perseguiamo.
L’intervento della dottoressa Maria Amparo Alonso, di Caritas Internationalis, è stato focalizzato sulle sfide e i bisogni in relazione ai vaccini contro il Covid 19, con uno sguardo pratico su come trasformare in fatti le idee. La Chiesa cattolica sta lavorando molto da vicino con le comunità, ascoltando, accompagnando e assistendo oltre il 60% delle popolazioni locali. Dopo aver consultato i 162 membri dell’organizzazione, è stata evidenziata la necessità di garantire un’efficace somministrazione del vaccino in ogni territorio. Per migliorarne l’accesso, le vie emerse sono state una maggiore condivisione delle dosi disponibili con i Paesi a minor livello di sviluppo, aumentare la capacità produttiva locale, adottare una politica di vaccinazione completa e una campagna di impegno pubblico adattata al contesto locale, fornire un supporto finanziario aggiuntivo, rafforzare il sistema sanitario, garantire la tecnologia necessaria e superare la barriera del diritto alla proprietà intellettuale. In sintesi, lo scopo è quello di mettere la gente al centro, specialmente i più vulnerabili.
Harambee, che in lingua originaria vuol dire “tutti ad una”, è un’organizzazione che si occupa di progetti di sviluppo in diverse aree del continente africano. La coordinatrice Linda Corbi ha spiegato che, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, solo l’1,4% dei vaccini sono stati somministrati in Africa, continente che conta il 16% della popolazione mondiale. Tra le maggiori minacce ha sottolineato il netto deficit di finanziamento da parte dei governi, la debolezza del sistema sanitario e la mancanza di un criterio definito che permetta la immediata vaccinazione delle persone più vulnerabili. Tre criteri importanti da valutare e risolvere in modo da garantire un buon stato di salute per tutti.
Per ultimo, il fondatore e presidente di SOMOS Community Care, Ramon Tallaj, ha condiviso una panoramica sulla situazione Covid negli Stati Uniti. Essendo uno dei Paesi con maggiori sequele e con un alto livello di sfiducia nella classe politica, la strategia adottata è stata quella di andare incontro le persone nei posti da loro frequentati per offrire l’applicazione del vaccino in modo innovativo.
Per quanto riguarda il lavoro dell’organizzazione, ha reso noto che essa si prende cura delle persone in condizione di povertà, dei lavoratori essenziali e dei migranti, i più colpiti dalla pandemia. Infatti, ha sottolineato che il 68% delle morti corrispondono alla popolazione afroamericana, ispanica e cinese.
In più, Tallaj ha lamentato che i protocolli e i lunghi tempi di attesa siano alla base dei problemi sanitari e ha appellato all’unione mondiale per rispondere al bisogno di vaccini. «Questo ha a che fare con il prendersi cura dei poveri, dar da mangiare agli affamati, curare i malati e trattare gli altri nello stesso modo in cui vorremmo essere trattati», ha concluso.