Vaccini anche per i medici?
Sta facendo molto discutere in questi giorni il caso di un’ostetrica dell’ospedale di Civitanova, in provincia di Macerata, licenziata per non essersi vaccinata. Un provvedimento adottato “per giusta causa” dal direttore Alessandro Maccioni, ma contestato dalla donna, che attraverso il suo legale ha fatto sapere di non essere contraria alle vaccinazioni, anzi. Essendo, però, già immunizzata per morbillo e rosolia, l’ostetrica aveva chiesto il singolo vaccino a lei necessario. Il siero per la parotite non è stato trovato e adesso del licenziamento si occuperà la magistratura.
Il caso, tuttavia, non è stato l’unico a creare scalpore. A Bari, in Puglia, qualche giorno fa c’è stata un’epidemia dovuta a un errore di diagnosi. Un caso di morbillo, infatti, in ospedale è stato scambiato per mononucleosi e ciò ha portato al contagio di 8 persone, 5 bambini e 3 adulti. Una piccola epidemia che ha riportato l’attenzione sulle mancate vaccinazioni non solo dei bambini, ma anche degli operatori sanitari e scolastici.
Il decreto Lorenzin, che ha portato a 10 i vaccini obbligatori, per mancanza di fondi e del necessario accordo, non ha infatti esteso l’obbligo a medici, infermieri, studenti di medicina e specializzandi, né a maestri, bidelli e dirigenti scolastici. Se si considerano anche gli esperti, gli addetti alle pulizie, i rappresentanti delle forze dell’ordine e i collaboratori che entrano nelle scuole e negli ospedali per progetti, incontri formativi e a vario titolo, si capisce che c’è ancora molto lavoro da fare.
In Italia, secondo i dati diffusi dall’Istituto superiore di sanità, dal 1 gennaio al 30 settembre 2018 sono stati segnalati 2.295 casi di morbillo, di questi, 100 hanno riguardato gli operatori sanitari: 83 non erano vaccinati, 8 avevano assunto una sola dose e 3 ne avevano assunte 2. Di altre 6 persone, infine, non era noto lo stato vaccinale. L’età media del personale coinvolto è stata di 35 anni.
Il problema, oltre ad essere culturale e sociale, è anche politico. Qualche mese fa, ad esempio, la Regione Puglia – al fine di prevenire e controllare la trasmissione delle infezioni occupazionali e degli agenti infettivi ai pazienti, ai loro familiari, agli altri operatori e alla collettività – ha stabilito che in alcuni reparti ospedalieri possono accedere esclusivamente gli «operatori che si siano attenuti alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente per i soggetti a rischio per esposizione professionale». Ha inoltre previsto che in «particolari condizioni epidemiologiche o ambientali, le direzioni sanitarie ospedaliere o territoriali, sentito il medico competente», possano «prescrivere vaccinazioni normalmente non raccomandate per la generalità degli operatori».
Ebbene, il provvedimento pugliese è stato impugnato dal governo in quanto «eccede dalle competenze regionali e interviene in un ambito nel quale sono prevalenti gli aspetti ascrivibili ai principi fondamentali in materia di tutela della salute e di profilassi internazionale, riservati alle competenze legislative dello Stato». Non solo. Per il governo, infatti, la disposizione emessa in Puglia lederebbe anche il «principio di uguaglianza, nonché il principio della riserva di legge in materia di trattamenti sanitari», per cui sarebbe incostituzionale.
In generale, le differenze tra regioni in materia vaccinale non piacciono al presidente dell’Istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi, per il quale il governo dovrebbe «prevedere una maggiore omogeneità di strategie a livello nazionale, evitando interventi regionalizzati, sia pure in emergenza». Sarebbe meglio mantenere la legge in vigore, mentre si provvede alla preparazione e all’approvazione del nuovo piano di prevenzione vaccinale, che per Ricciardi potrebbe entrare in vigore “senza traumi” alla scadenza naturale del precedente (fine del 2019) e al completamento dell’anagrafe vaccinale nazionale.
La discussione dunque continua, anche in vista del varo del disegno di legge sulla prevenzione vaccinale, proposto dai senatori Patuanelli, Sileri e Castellone del M5S, e da Romeo e Fregolent della Lega. Tra i punti che si stanno valutando, c’è anche la creazione di classi riservate ai soli studenti vaccinati o immunizzati. Un’ipotesi difficile da realizzare e che, comunque, secondo Paolino Marotta, presidente dell’Associazione nazionale dirigenti scolastici (Andis), non produrrebbe i risultati sperati, in quanto non esiste la possibilità di isolare completamente una classe dal resto del contesto scolastico.