Una vacanza al mare sfiora la tragedia
Con quattro amici abbiamo deciso di fare le vacanze sul mare. Un giorno, tre di noi si sono posti un obiettivo: nuotare fino alla boa più lontana. «Se la tramontana ci spinge, al ritorno sarà contro di noi, dico loro, forse è meglio rimandare questa sfida a un altro giorno senza vento». Ma la sfida aveva già provocato il nostro orgoglio.
Ci siamo tuffati in mare e abbiamo nuotato facilmente, quasi troppo facilmente perché la tramontana ci spingeva, e abbiamo raggiunto la meta, trionfanti. Minuti di riposo alla boa e chiacchiere allegre. Poi è il momento di tornare a nuoto. Tutto diventa più difficile. Lo sforzo è quasi sovrumano, tanto che il vento ci toglie il respiro e resiste alle nostre braccia.
Vado avanti con molta difficoltà perché sono la peggiore nuotatrice del gruppo. Ma capiamo subito che dobbiamo stare insieme per incoraggiarci a vicenda. La spiaggia non sembra avvicinarsi e le nostre forze diminuiscono. Ammetto ai miei compagni che sono già esausta.
Si stringono intorno a me e mi incoraggiano come meglio possono. Oltre allo sforzo fisico, c’è tutto uno sforzo mentale per mantenere il sangue freddo (che era già congelato dalla tramontana) e sperare di arrivare sani e salvi a riva.
I pochi minuti di lotta mi hanno messa in discussione: ho mancato di conoscenza delle mie forze o le ho sopravvalutate? Ho mancato di prudenza e di conoscenza dell’ambiente? Sì, senza dubbio, buttarsi a capofitto in una sfida senza chiedere consiglio è come un re che vuole andare in guerra contro un altro Paese senza stimare sufficientemente le risorse del suo esercito rispetto alla conquista da fare.
All’improvviso mi rendo conto che Dio è lontano e allo stesso tempo molto vicino mentre gli parlo, lo invoco e lo prego di aiutarmi! Pensavo di essere sola in questo, ma quando finalmente raggiungiamo la riva e ci buttiamo a terra sulla sabbia per riprendere fiato e recuperare le forze, per lasciare che i nostri cuori uscissero dalle orecchie mentre il loro battito superava il fragore delle onde, uno di noi taglia il silenzio ammettendo la nostra imprudenza e ringraziando Dio.
Più che la sua azione salvifica, che gli si potrebbe ingenuamente attribuire, confesso di essere piena di misericordia. Quel “non lo farò più” che si dice dopo aver messo la mano nel fuoco ed essersi bruciati, si ripete nel terrore di morire per imprudenza: non metterò più in gioco la mia vita.
In quei momenti di lotta, dov’era Dio? Era nella forza suprema di portarmi a riva? Oppure era tra noi, proprio nello sforzo di aiutarci a tornare sani e salvi? Non camminava sulle acque, ma era davanti a noi nel filo di speranza di conservare la vita, di volere la vita, di rimanere in vita, di scegliere la vita, nel rinnovato proposito di dare la vita per gli altri.
Sana e salva sulla riva, dentro di me stavo cantando un moderno magnificat di gratitudine. Non mi stavo ringraziando, no, sarebbe stato contrario alla mia fiera volontà di affrontare la sfida. Stavo ringraziando la Vita e mi sono sentita improvvisamente salvata dalle acque, avvolta dalla misericordia, a 50 metri dal mio accappatoio che il vento aveva coperto di sabbia.
Marcelle C.