Utero in affitto tra diritto e dignità umana

Dopo l'approvazione definitiva in Senato, nella seduta del 16 ottobre 2024, della legge che definisce come reato universale la pratica della maternità surrogata, pubblichiamo un approfondimento sulla questione in gioco, con l’intervista alla giurista Adriana Cosseddu pubblicata nel numero di giugno 2023 della rivista Città Nuova  
manifestazioni di femministe in Messico contro la legge che legittima l'utero in affitto Ansa epa09760424 Banners read 'Women are not merchandise, no to rented wombs' as feminist groups are protesting against the proposal to legislate payed surrogacies, in front of the Congress of Mexico City, Mexico 15 February 2022. Feminist groups protested this 15 February in Mexico City against the initiative that seeks to recognize surrogate motherhood as a right and regulate it as a non-profit medical practice. EPA/Isaac Esquivel

La pratica dell’utero in affitto è vietata in Italia ma è diffusa in altri Stati nel mondo. Che si fa quando qualcuno torna dall’estero per registrare in comune un figlio che ha un legame biologico solo con un componente della coppia che si presenta all’ufficio anagrafico?

La questione genera inevitabili polemiche e divisioni investendo la politica e il diritto. Ne abbiamo parlato con Adriana Cosseddu, già professoressa di Diritto penale all’Università degli Studi di Sassari.

Come si può definire l’affitto dell’utero, o come dicono alcuni, la gestazione per altri o maternità surrogata?
È l’accordo con il quale una donna si impegna a sottoporsi a tecniche di procreazione medicalmente assistita, a condurre la gestazione e a partorire un figlio in favore di altri. Parliamo di una pratica vietata dal nostro ordinamento. Cioè chi la pratica commette un reato punito dall’art. 12, della Legge n. 40 del 2004 sulla fecondazione assistita con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600 mila a un milione di euro.

Il divieto in Italia non impedisce la pubblicità dell’offerta di servizi all’estero…
In effetti, ad esempio, nelle pagine web collegate a Wish for a baby, la fiera della maternità in provetta che si è tenuta nel mese di maggio a Milano, compaiono offerte di consulenza per accedere alla maternità surrogata. È una pratica che non si esita a definire mercato, visto che oggi almeno 20 su 212 Paesi nel mondo ne hanno in vario modo legalizzato il ricorso. In Europa: Regno Unito, Ucraina, Bielorussia, Russia, Grecia, Belgio. Con la guerra i clienti si dirigono meno a Kiev per recarsi in Georgia, al confine con la Turchia. Ci sono poi alcuni Stati degli Usa, tra cui New York, dove l’interesse di qualche star è una potente leva commerciale con siti web che arrivano a proporre la scelta fra 12 embrioni, descritti come “prodotti con codice a barre”.

Ma non c’è anche il Canada dove è prevista solo la surrogata solidale? Cioè senza compenso per la donna che presta il suo utero?
In realtà, a fronte degli alti costi, è previsto il rimborso spese nel corso della gravidanza, attraverso un elenco di spese rimborsabili: cibo, vestiario, trasporti, voci alle quali il Ministero della Salute ha aggiunto le “ore di lavoro perse”. Alla fine, sommando anche i costi delle agenzie intermediarie e le varie parcelle legali e visite mediche, un bambino ottenuto con surrogata costa a una coppia fra gli 80 e i 100 mila euro.

Che rischio corre la donna?
C’è un rischio che ricade sulla salute della donna e sul bambino. Il processo per arrivare alla maternità surrogata è lungo – si parla di 24 mesi circa – con rischi fisici e psicologici. Si pensi al ruolo delle Agenzie che reclutano le madri surrogate rivolgendosi verso giovani donne dai Paesi poveri, sottoposte al controllo sul rispetto degli accordi, dalle prescrizioni alimentari a quello dei farmaci fino al divieto dei rapporti sessuali anche con il marito. E tutto ciò per un compenso standard 15/20 mila dollari, se tutto va a buon fine. Sono in molti a definire la surrogazione una forma di riduzione in schiavitù per le donne con il loro corpo mercificato come mezzo per soddisfare qualcuno.

C’è poi il diritto di chi è concepito…
Già. La gravidanza, culla del rapporto indicibile madre-bambino, si trasforma in prestazione di un servizio, con eventuale obbligo d’aborto anche contro la propria volontà, in caso di anomalie del feto. I bambini vengono privati in ogni caso del calore del seno materno, dell’allattamento. Tutti elementi che fanno capire come il desiderio di genitorialità non può essere riconosciuto come un diritto. Come ha osservato la filosofa Hannah Arendt, se la vita non è più un dono gratuito si va incontro al rischio di una tecnologia che, come “modalità del fare”, porta a considerare tutti i mezzi leciti purché ci sia un fine che li giustifichi.

Per questi figli, una volta nati, c’è comunque una coppia, etero od omosessuale, che li vuole riconoscere. Che fare?
Il problema non si pone ovviamente per chi dei due è il genitore biologico ma per quello “intenzionale”, cioè che ha condiviso la pratica della maternità surrogata. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2022 ha ribadito che non si può procedere alla trascrizione dell’atto di nascita estero che indica nella coppia i genitori, perché in questo modo si andrebbe a «legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante» per la dignità della donna. L’ordinamento italiano prevede la possibilità dell’adozione per casi particolari; ma anche estendendola al genitore “intenzionale”, è richiesto l’esame del giudice finalizzato all’interesse del minore.

Un percorso contorto…
Certo, ma obbligato nell’obiettivo di rimediare a una violazione del diritto e dell’umanità. Perciò, esperti di 75 nazionalità hanno promosso, con la Dichiarazione di Casablanca del 3 marzo 2023, la messa al bando a livello globale della surrogazione di maternità. Esiste poi in Italia una proposta di legge, dall’intento preventivo, che vuole prevedere la pratica dell’utero in affitto come reato universale, perseguibile cioè anche se realizzato dai cittadini all’estero.

Alcuni punti fermi per un vero dialogo
Utero in affitto è un termine crudo, che disturba ma descrive la realtà dei fatti che alcuni preferiscono chiamare, invece, gestazione per altri o maternità surrogata.
È una pratica che chiama in causa il fondamento stesso della convivenza umana. Dal movimento femminista arrivano posizioni chiare. Si veda la pagina Facebook “Resistenza all’utero in affitto”. Cento donne di sinistra hanno scritto una lunga lettera aperta ad Elly Schlein, segretaria del Pd, per ribadire che «ancora prima del rinvio ai codici, è il senso umano dell’inviolabilità delle persone a ribellarsi contro la riduzione delle donne a materie prime e della prole a ordinativo. L’inviolabilità della donna e l’inviolabilità del/la neonata/o è l’inviolabilità di tutti, senza la quale non c’è differenza tra persone e cose».

Non è possibile ridurre un dibattito del genere a una polemica confessionale legata agli ex popolari nel Pd. Stefano Fassina, esponente della sinistra che lavora ad un polo comune con i 5 Stelle, osserva che «a sinistra non si vuole fare una concessione alla destra sul no all’utero in affitto e impera una visione transumanistica dei diritti civili, mentre io già in passato avevo sottoscritto le proposte di legge di Meloni e Carfagna che in un unico articolo rendevano punibile il reato di maternità surrogata “anche se commesso all’estero”» come strumento per arrivare a «una convenzione internazionale per universalizzare il reato di maternità surrogata» che è, come afferma sul versante liberal Carlo Calenda, un’aberrazione. È una questione che va affrontata quindi con un dialogo autentico e approfondito superando la tentazione di soluzioni di compromesso destinate comunque a non durare.

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