Utero in affitto, un dibattito fuori dagli schemi
L’utero in affitto, o gestazione per altri (gpa) come si dice in maniera più sfumata, è una pratica diffusa a macchia di leopardo nel mondo.
In Italia, finora, è vietato stipulare un contratto, o un accordo anche non monetario, con una donna disponibile a prestare il proprio corpo per ricevere embrioni prodotti con ovuli e spermatozoi di terzi per portare avanti gravidanze che portino alla nascita di bambini che per contratto sono di proprietà della coppia “committente”. Laddove tale pratica è invece permessa o tollerata, la tecnica permette di passare previamente anche attraverso la fecondazione in vitro dell’ovulo da impiantare nell’utero di una donna che non sarà madre dell’essere umano che verrà alla luce.
L’Ucraina, ora devasta dalla guerra, è uno dei Paesi dove la “Gpa” è legalizzata e diffusa così come, d’altra parte, in Russia dove però si annunciano restrizioni. L’offerta commerciale dall’Est occidentalizzato viene reclamizzata anche tramite siti web in italiano che assicurano la possibilità di «selezionare un embrione completamente sano, prevenire la trasmissione di malattie ereditarie e scegliere il sesso del nascituro secondo il vostro piacimento» grazie ad una «banca dati di madri e donatrici di ovuli di fenotipi europei, asiatici e africani, che ci permette di scegliere la donatrice ideale».
I problemi più significativi dal punto di vista legale nascono quando si tratta di registrare e certificare in Italia la maternità e paternità di un bambino nato, in tal modo, all’estero. Una complicazione che aumenta ovviamente in caso di procedure contrattuali e di consegna da osservare in regime di guerra. Come afferma Alison Motluk della rivista statunitense Atlantic, tradotta e pubblicata da Internazionale di marzo, nel caso ucraino, con una stima di 2500 gpa all’anno, «gli interessi delle gestanti surrogate e quelli dei genitori non sempre coincidono», perché tali donne potrebbero sfollare in Paesi limitrofi, come la Polonia, dove è più difficile registrare legalmente la maternità a nome del committente del frutto del concepimento.
Genera grandi conflitti e contraddizioni, in generale, correre ai ripari davanti ad azioni che, a seconda della legge di ogni stato, possono essere oggetto di un regolare contratto o, al contrario, costituire un reato perseguibile penalmente.
In Italia l’utero in affitto è un reato secondo la legge 40 del 2004, punito con la reclusione da 3 mesi a 2 anni e con una multa che può andare da 600 mila a un milione di euro. Ma il fatto non è perseguibile se compiuto all’estero, come in effetti comunemente avviene.
Per tale motivo la Lega, assieme ad un cartello di associazioni denominato “ditelo sui tetti” (ne fanno parte il Movimento per la Vita e Family day per avere un’idea) ha depositato una proposta di legge di iniziativa popolare al fine di perfezionare la definizione del reato e renderlo perseguibile anche se commesso, in tutto in parte, all’estero. Una fattispecie da inserire nell’articolo 600 del codice penale su «Riduzione e mantenimento in schiavitù o in servitù». Aumenterebbero anche le pene (reclusione da 4 a 10 anni e multa da 600 mila a 2 milioni di euro) e verrebbe perseguito, inoltre, «il pubblico ufficiale che annoti nei registri dello stato civile il nato da maternità surrogata» (false dichiarazioni nella formazione dell’atto di nascita, pena da 5 a 15 anni).
Accanto a tale iniziativa, che è molto difficile portare avanti considerando l’esito di simili procedure partecipative, sembra andare più veloce l’iter ordinario di un testo base di legge che estende la perseguibilità dell’utero in affitto anche all’estero ed è già stato approvato il 20 aprile in commissione giustizia della Camera dei deputati. La normativa proposta è stata presentata da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ed è simile ad un testo presentato da Mara Carfagna, altra donna di centro destra (Forza Italia) nonché ministro per il Sud.
Sul fronte opposto si collocano i radicali di +Europa che chiedono, invece, assieme a Sinistra italiana, la legalizzazione della gestazione per altri anche in Italia limitandone l’applicazione ai casi in cui non esiste un corrispettivo tra le parti ma solo un rimborso delle spese (cosiddetta “gravidanza solidale”).
Secondo l’associazione Luca Coscioni, che fa parte del mondo radicale, il testo base approvato sarebbe «giuridicamente inapplicabile» e imporrebbe una politica di criminalizzazione inaccettabile: «il risultato gravissimo sarebbe non solo quello di impedire a tante di coppie di diventare genitori, ma di farle diventare, al loro rientro in Italia, colpevoli di un reato che prevedrà fino a 3 anni di reclusione in carcere, con la conseguenza inevitabile di allontanarli dai loro figli appena nati. Incriminare i genitori significa forse tutelare i bambini? Pensiamo a tante coppie famose che in questi anni hanno fatto ricorso a queste tecniche, come gli ex parlamentari Nichi Vendola ed Ed, Sergio Lo Giudice e suo marito Michele, o alla recente notizia diffusa da Tiziano Ferro e suo marito Victor di essere diventati genitori all’estero e alle tantissime coppie etero italiane non famose Se la proposta di legge dovesse diventare legge avrà valore per il futuro non per il passato, ma è l’inizio di un oscurantismo dei diritti per tutti noi».
A scombinare la solita divisione tra schieramenti conservatori e liberali, interviene in questo campo il fatto che una parte significativa delle femministe si è posta da sempre contro la pratica dell’utero in affitto. Esiste, ad esempio, un vivace collettivo nazionale Rua (resistenza all’utero in affitto) che fa parte della Coalizione internazionale per l’abolizione della maternità surrogata.
«Quante crisi, quanti scandali, quante madri sacrificate, quanti neonati acquistati venduti trafficati abbandonati dovranno esserci prima che ci siano governi abbastanza coraggiosi da andare all’abolizione mondiale di questa pratica disumanizzante?» Si chiedono nell’ultimo comunicato le copresidenti di tale coalizione (Marie Josèphe Devillers, Ana-Luana Stoicea-Deram e Berta O. Garcia). C’è da ricordare che già con una risoluzione del 2015 il Parlamento europeo si è espresso a favore dell’abolizione della maternità surrogata.
Sul fronte cosiddetto progressista, nel Pd si registra, come al solito, una pluralità di posizioni contrastanti in materia, con il deputato Stefano Lepri che conferma il suo parere contro la maternità surrogata definita «una pratica odiosa». A supporto della sua posizione cita il «programma del governo spagnolo, dove si è dichiarato un definitivo ‘no’ del Psoe e di Podemos alla maternità surrogata».
In questa direzione si registra anche una recentissima dcisione dell’Alta corte spagnola che con una sentenza unanime ha dichiarato nulli a tutti gli effetti i contratti di gravidanza per utero in affitto perché contrari ai diritti fondamentali della donna gestante e del neonato.
Una presa di posizione decisamente contraria all’utero in affitto, con motivazioni di sinistra, arriva dal deputato di Leu, Stefano Fassina, che in una lettera ad Avvenire applaude al testo Meloni approvato in commissione giustizia. Fassina cita un interessante discorso inedito del 1975 che Pier Paolo Pasolini avrebbe dovuto fare (morì 2 giorni prima) al congresso del Partito radicale sul falso laicismo indotto dall’edonismo consumista.
Per il deputato di Leu, «l’obiettivo è la protezione della donna, quasi sempre in condizione di difficoltà economiche, dall’«individualismo proprietario», come efficacemente lo definiva il compianto Pietro Barcellona, esteso alla sacra dimensione della riproduzione della vita. L’obiettivo è, al contempo, la protezione della bambina e del bambino reso, nella asimmetria di potere di mercato tra donna e committente, prodotto con valore di scambio, nell’annullamento della distinzione tra persona e merce».
Un serio dibattito sul caso dell’utero in affitto permette perciò di seguire, come è auspicabile su altri temi, di concentrarsi sul merito delle questioni in gioco senza facili e automatici schieramenti preventivi.
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