Ustica 1980, il mistero di una strage
Sono emerse in questi giorni ( il 10 giugno 2020) le ultime ricostruzioni, della scatola nera del DC-9 della compagnia aerea Itavia, aereo colpito in volo il 27 giugno 1980. Si possono ascoltare le ultime parole scambiate tra Domenico Gatti, comandante del velivolo civile, e il copilota Enzo Fontana.
Un dialogo tranquillo, in un viaggio assolutamente regolare tra Bologna e Palermo, che si interrompe con una domanda improvvisa (“cosa è?”). È il tragico annuncio dell’inizio di una delle estati più drammatiche della storia repubblicana, quella del 1980. Il 2 agosto avvenne l’attentato dinamitardo alla stazione di Bologna che provocò 85 morti.
Ci furono, quindi, giorni in cui nei cieli italiani, in tempo di pace, avvenivano scontri e inseguimenti tra aerei militari della Nato e velivoli libici; giorni in cui gli ultimi strascichi e i tragici vagiti della guerra, mica tanto fredda, devastavano lo spazio aereo italiano.
Giorni in cui la sicurezza nazionale veniva silenziosamente umiliata sopra le teste di milioni di italiani; una sicurezza tanto invocata per nascondere ipocritamente le politiche di riarmo delle alleanze internazionali che mostrano, invece, il loro vero volto di dominio e manipolazione quando avvengono le tragedie.
Come accadde una sera di 40 anni fa, il 27 giugno 1980, quando alle ore 20.59, a 7 km d’altezza sopra il braccio di mare tra Ustica e Ponza, avvenne la strage dell’aereo DC-9 I-TIGI della compagnia Itavia, avvenuta per cause che differiscono a causa delle contrastanti testimonianze. Secondo la versione resa, nel 2007, da Francesco Cossiga (nel giugno 1980 presidente del Consiglio), su informazione del SISMI, l’aereo esplose in volo perché bombardato da un missile francese destinato ad un aereo militare libico in cui si pensava ci fosse Gheddafi.
È questa la tesi stabilita dall’istruttoria del ’99 e indirettamente confermata dalla sentenza della Cassazione del 2017 che ha condannato lo Stato al risarcimento dei familiari.
Una diversa ricostruzione della strage di Ustica, basata su alcune perizie e il ritrovamento di resti riconducibile ad un velivolo della Nato, propende per la rottura del velivolo in seguito allo scontro con un aereo militare americano il quale volava a caccia di un MIG libico nascostosi sotto la scia dell’aereo civile per non essere ritracciato dai radar dell’Alleanza atlantica.
In ogni caso, l’incidente provocò la morte delle 81 persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio, presenti sull’aereo italiano.
La strage fu resa ancora più drammatica da quel muro di gomma internazionale che portò a perdere prove, a depistaggi, a registri di radar del 27 giugno strappati, all’incriminazione per alto tradimento di ufficiali italiani, assolti nel 2007 perché il fatto non sussiste, e che impedisce, tutt’ora, di fare definitivamente luce su quanto accaduto.
Un contesto di guerra in tempo di pace; ecco la cornice in cui vedere uno dei misteri italiani tutt’oggi irrisolti e che non possiamo più superficialmente catalogare come frutto del malaffare politico tipico della prima Repubblica.
No, la questione è molto più grande e grave e tocca il cuore delle alleanze internazionali, delle tensioni nel Mediterraneo, più che mai attuali, tra Stati Uniti e Francia da un lato, e Libia e Russia dall’altro, con l’Italia nel mezzo a doversi destreggiare tra alleati militari e partner commerciali. C’erano radar attivi di portaerei americane (la Saratoga nel Golfo di Napoli), o di basi segrete russe in Libia (secondo la testimonianza del 1993 di Jurij Salimov, appartenente ai servizi segreti russi), che potevano comodamente stabilire cosa accadde quella notte e far definitivamente giustizia.
«L’incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti». Così conclude l’ordinanza-sentenza dell’istruttoria del 1999.
Ad oggi non esistono colpevoli accertati della strage, e gli unici condannati sono stati i ministeri delle Infrastrutture e della Difesa italiani costretti a risarcire di milioni di euro gli eredi della compagnia aerea Itavia (fallita nel dicembre del 1980 a seguito del disastro), e i familiari delle vittime, per omesso controllo della situazione di rischio venutasi a creare nei nostri cieli.
Ma la tragedia di Ustica è anche la storia di anime straziate. Quelle delle famiglie delle vittime. Quelle dei testimoni che dovettero fare silenzio sulla vicenda. Sono 12 i morti di morte violenta su cui il giudice Priore ha indagato e legati alla strage di Ustica. Per 10 di questi il magistrato ha dichiarato di non aver trovato un collegamento diretto con quanto accadde il 27 giugno 1980. Gli altri 2, i marescialli Dettori e Parisi, morti il primo nel 1987 e il secondo nel 1995 in circostanze mai del tutto chiarite e presunti suicidi, prima di morire hanno manifestato disagio, preoccupazione, paura, depressione per quanto accaduto sopra i cieli di Ustica.
Ci sono stati giorni dove i cieli venivano violati, gli aerei civili colpiti da guerre combattute e nascoste all’opinione pubblica, e le anime delle persone lacerate per le conseguenze di tensioni internazionali, di menzogne e reticenze.
Giorni che dobbiamo ricordare per ribadire che solo con la pace può esserci giustizia e che la democrazia, per essere effettivamente tale, ha bisogno della verità. Una lezione della storia che dobbiamo ancora imparare. Con coraggio, umiltà e amore del bene comune