Uso, abuso e riuso
Che la scarpetta, la famosa scarpetta aborrita da qualsiasi manuale di galateo, fosse catalogabile come un comportamento ecologico, a dire il vero non ci avevo pensato. Pulire il piatto con un pezzetto di pane alla fine di un pasto non è infatti un gesto elegante.Vietato in pubblico, fa parte per lo più della dimensione domestica e familiare. Eppure pensate quanto detersivo si risparmia risparmia a lavare delle stoviglie così ripulite. Me l’ha fatto notare quasi a mo’ di battuta un amico, professionista qualificato in campo ecologico, dopo aver presentato ad un convegno organizzato da EcoOne (vedi box) una relazione sulla protezione degli ecosistemi acquatici. Come a dire che le grandi strategie passano sempre dai piccoli comportamenti quotidiani. risparmia Quello della disponibilità di acqua sta diventando sempre più un problema. Si tratta infatti di una risorsa che tende a diminuire. E non solo per una scarsità reale, ma spesso per l’inquinamento delle fonti che di fatto ne vanifica ogni possibilità di impiego. Così mentre, almeno nell’opinione pubblica corrente, si imputa in maniera quasi esclusiva ai cambiamenti climatici la causa della mancanza di acqua, ci si deve rendere conto che spesso è la mano dell’uomo ad impedire che quella che c’è possa venire utilizzata. I cambiamenti climatici hanno sicuramente impoverito le fonti sotterranee, cioè le sorgenti ma purtroppo molte di queste sorgenti, non possono essere utilizzate perché la presenza di case, industrie, zone agricole ne ha inquinato le acque mi dice il prof. Giuseppe Giaccone, ordinario di Ecologia generale e presidente del corso di laurea in Scienze ecologiche ed educazione ambientale dell’università di Catania, tra i partecipanti al convegno. A lui rivolgo delle domande nello sforzo di cogliere qualche elemento utile ad un comportamento ecologicamente sostenibile anche nell’utilizzo quotidiano dell’acqua. Partiamo appunto da noi. L’uso civico dell’acqua dipende dal singolo cittadino come dall’amministratore. Cosa possono fare l’uno e l’altro per agire correttamente? Il cittadino deve intanto risparmiare, e soprattutto non concentrare quella che usa con inquinanti eccessivi. Quindi impiegare con parsimonia i prodotti detergenti e scegliere quelli con biodegradabilità più elevata (basta leggere le etichette). Inoltre sapere che le quantità generalmente consigliate dai produttori sono normalmente il triplo di quelle realmente efficaci, quindi diminuire le dosi. Non si deve, inoltre, versare nelle acque di fogna vernici, idrocarburi, prodotti medicinali, fitofarmaci per l’agricoltura, prodotti cosmetici, ecc… Queste sostanze vanno smaltite a parte come rifiuti speciali. In quanto all’amministratore dovrebbe ottimizzare i sistemi di conduzione in maniera da non avere perdite, separare le reti fognarie, cioè distinguere le reti che trasportano l’acqua di dilavamento (dovuta alle piogge), da quella delle fogne. Un sistema tra l’altro già conosciuto dai Romani. In genere, invece, la rete è unica. Lei è stato sindaco di un piccolo centro nel palermitano, quindi i problemi di natura idrica li ha affrontati anche da questo punto di vista… Sì, e ho potuto costatare di persona che tutto ciò non è complicato, si trovano i finanziamenti e inoltre si incentiva l’occupazione, creando occasioni di lavoro. Purtroppo, invece, molti grossi centri urbani sono ancora privi di impianti di depurazione, nonostante tutte le normative europee, nazionali e regionali la cui mancata attuazione prevede addirittura responsabilità penali. Ma in genere vi è un rimpallo di responsabilità tale da rendere difficile qualsiasi intervento. Così tanti sono i comuni che non hanno considerato il ciclo dell’acqua come una priorità e quindi si ritrovano senza una rete fognaria adeguata e con un sistema di depurazione insufficiente. Eppure, emanate le leggi, venne anche offerta una disponibilità finanziaria che nella maggior parte dei casi è stata sottovalutata. Si capisce che è un problema di sensibilità. Ma non dobbiamo dimenticare le responsabilità che abbiamo anche verso le generazioni future. Se continuiamo così pure noi rischiamo di andare incontro tra venti-trenta anni a grossi problemi di approvvigionamento idrico. La concentrazione della popolazione in agglomerati urbani sempre più vasti influisce in questo senso? In effetti, essendo costretti a trasportare l’acqua capillarmente dalle sorgenti o dai bacini di accumulo ai grandi agglomerati urbani, si determina una perdita che va, nelle condizioni migliori, da un 30 per cento fino a un 60 per cento. Quindi quanto più le utenze cittadine diventano numerose tanto più il fenomeno della perdita nelle condotte di adduzione diventa significativo. Una corretta gestione del ciclo dell’acqua prevede che essa prima di essere restituita ai corpi idrici venga ripulita di tutte le sostanze immesse nel corso dell’uso. Si tratta della cosiddetta depurazione che può avvenire sotto varie forme. Come funziona? Il modello classico si basa sulla sedimentazione, cioè sul principio che particelle che hanno un peso specifico maggiore dell’acqua fatte passare per un determinato tempo in certe vasche si depositano sul fondo. Viene chiamato lo stadio meccanico o stadio primario. Le sostanze che invece hanno peso specifico minore dell’acqua galleggiano e sono portate via da lame schiumatrici. In centri urbani con popolazione inferiore ai diecimila abitanti è sufficiente tale trattamento per restituire queste acque ai corpi idrici senza inquinarli. Quando invece ci troviamo di fronte a centri abitati più grossi si interviene col trattamento chimico che alla sedimentazione primaria ne aggiunge una provocata in ulteriori vasche. Stranamente in Italia un trattamento che viene considerato obbligatorio è il trattamento biologico, che invece dal punto di vista ecologico è inefficace o dannoso. Si fa aggredire la sostanza organica presente nelle acque di fogna da batteri che la trasformano in sali minerali. Queste acque però alla fine sono ricche di concime per cui quando arrivano nei piccoli bacini fanno esplodere le erbacce che precipitano sul fondo, vanno in putrefazione e fanno morire gli altri organismi. Si pensava che il problema fosse di fare diventare trasparente quest’acqua e in effetti lo è, ma è al contempo ricca di sostanze fertilizzanti e di vitamina B12, una sostanza di crescita che incrementa moltissimo la formazione di vegetali e che non può essere eliminata in nessuna maniera. Quindi il trattamento biologico, un processo che costa tanto e che è delicato perché la coltura batterica richiede condizioni climatiche e attenzioni molto particolari, dovrebbe essere limitato e riservato ad acque che poi vengono riutilizzate in agricoltura. Esiste anche un’alternativa, la fitodepurazione. Quando le acque dopo un trattamento meccanico o chimico contengono ancora sostanze organiche, si può intervenire ulteriormente con dei bacini in cui si piantano canneti o altri vegetali che le trattengono e che possono essere poi impiegati a scopi industriali. Come si capisce a occhio nudo se un corpo idrico è inquinato? Normalmente è torbido o è pieno di vegetazione verde galleggiante, (inquinamento fognario) oppure l’acqua è limpida ma non c’è vita. In questo caso vuol dire che c’è un inquinamento chimico. Se andando al mare si trovano alghe verdi è meglio non fare il bagno, se ci sono alghe brune si può farlo tranquillamente . Insomma c’è tanto da fare per sviluppare una cultura ecologica non egoistica… Sì, bisogna tenere conto che restituire ai corpi idrici acque usate senza depurazione comporta il rapido deterioramento degli ecosistemi acquatici da un parte e l’esaurimento delle fonti pulite di acqua dall’altra. Una gestione oculata del ciclo dell’acqua non si può limitare comunque alla depurazione che risolve non più del 60 per cento del problema, ma richiede uno sforzo importante nella prevenzione, cioè nel diminuire gli apporti inquinanti sia negli usi civili che in quelli agricoli e industriali. ECOONE: ECOLOGIA AL SERVIZIO DELLA VITA Una rete mondiale di operatori nel campo ambientale e naturalistico; un’iniziativa culturale promossa da docenti, ricercatori e professionisti che operano nel settore delle scienze ambientali. Così si definisce EcoOne, un gruppo di persone che desiderano coniugare nella loro attività metodo scientifico e visione umanistica nella prospettiva di un mondo unito. Oltre ad operare in settori specifici, a scambiarsi informazioni, conoscenze ed esperienze, convergono annualmente intorno ad un tema: i cambiamenti climatici l’anno scorso, gli organismi geneticamente modificati l’anno precedente, per ricordarne qualcuno. Di competenze varie e professionalità diverse, dall’Italia e da altri paesi europei, si sono ritrovati lo scorso 27-28 marzo a Castelgandolfo per confrontarsi questa volta su un altro tema di stretta attualità: l’acqua nella sua funzione vitale, nell’uso civico, nel diritto internazionale e come causa di conflitti. Il convegno che ha visto il susseguirsi di interventi di alto livello sulle tematiche citate, oltre ad illustrare la serietà del problema che potrebbe avere gravi ripercussioni a livello mondiale, ha fornito anche numerosi elementi che collocano questa preziosa risorsa in un quadro composito. Fonte di esistenza da sempre, l’acqua oltre ad essere rivestita di grande significato in tutte le grandi religioni, porta in sé quel principio vitale che è alla base di tutte le altre forme di vita che da essa dipendono. Basti pensare che l’idrosfera costituisce il 75 per cento del pianeta, circa il 97 per cento di un embrione umano di un mese e quasi il 64 per cento, cioè i due terzi dell’uomo adulto. Dati che confermano l’essenzialità di questa risorsa e il dovere per l’uomo di conservarla integra per le generazioni future.