Uscire di casa a Palermo
Finisce con un urlo. Muto. Segno di impotenza. Di una ferita aperta. Di un abbandono. È il grido di Palermo ad essere rappresentato: metafora di una città – e del mondo – incessantemente indaffarata e vitale, e pure sull’orlo di un precipizio. Spettacolo commovente, da vedere e rivedere, mPalermo della regista Emma Dante, ha meritatamente vinto il Premio Scenario 2001, rivelando la dirompente bravura della giovane compagnia Sud Costa Occidentale. Dalla scena alla platea passa una carica umana contagiosa, una capacità rara di comunicare emozioni. C’è una strana famiglia in un interno, goffamente impegnata nel rituale della vestizione a festa per la passeggiata domenicale. Ciascuno con un pacchetto di pasticcini in mano. La voglia di uscire di casa viene però impedita da un piccolo imprevisto: una delle componenti indossa le ciabatte domestiche col batuffolo, e ad un altro gli viene fatto osservare di avere i pantaloni troppo corti. Non ci si può perciò esporre al ridicolo pubblicamente, mostrando la propria condizione sociale misera, ed essere identificati per quel che realmente si è, e non per quello che si vorrebbe apparire (l’ombra di Pirandello aleggia). Da qui, un susseguirsi di banalità bloccheranno ogni volta il tentativo di varcare la soglia di casa, di vincere quell’inerzia ancestrale che frena ogni iniziativa. Una serie di sketch surreali trasformeranno le inesplose frustrazioni, illusioni, nevrosi familiari dei cinque componenti, in azioni ora struggenti ora comiche. Un battibecco si trasforma in danza o in una immaginaria partita di calcio; un gesto sfuma – quasi naturalmente, e genialmente – in movimenti corali, in assoli di potente forza espressiva. Una semplice richiesta d’acqua (miraggio antico ed ancora attuale di Palermo e della Sicilia) si può tramutare, ad esempio, in un girotondo gioioso e liberatorio. Prima razionata e bevuta a turno nel tappo di una tanica, poi versata addosso in giochi da bambini, viene salutata come sgorgasse abbondante da una fonte miracolosa. Questi ed altri ancora sono quadri di ordinaria follia, dove ci si ingozza di pasticcini per scacciare lo spettro della fame, e ci si riveste con gli abiti zuppi d’acqua. Qualcuno s’inebria guardando la luce del sole che invita ad uscire, e indica il mare come meta da raggiungere. Ma, improvvisa, subentra la morte – la nonnina del gruppo piegata come un burattino senza più fili – a raggelare l’ennesimo tentativo di superare le mura immaginarie. mPalermo va raccogliendo ovunque consensi superando l’incomprensibilità del dialetto stretto. Una recitazione che si fa suono, matericità, ritmo universale, per svelare un universo umano: doloroso, concreto, trasfigurato dalla poesia scenica. Lasciando spazio, e molto, alla risata, all’ironia mai scontata, lo spettacolo avvince dall’inizio alla fine. E il pubblico ringrazia con un lungo interminabile applauso.