Uscire dal declino: la proposta di Genovesi

Si inaugura l'anno dedicato all'economista salernitano. Considerato un utopista perchè aveva messo al centro del sistema economico la persona e la società civile è oggi un riferimento per studiosi e imprenditori. Intervista al professor Stefano Zamagni sul valore dell'economia civile in un'Europa che ha scelto invece l'austerità
Economia e finanza

Mentre a Bagnoli si fanno i conti del terribile incendio che ha distrutto la Città della scienza, opera di riscatto civile costruita sul sito dell'ex Italsider, Napoli si appresta ad accogliere l'evento d'apertura dell'anno dedicato ad Antonio Genovesi a trecento anni dalla sua nascita. Il grande pensatore e umanista campano, primo titolare di una cattedra di economia nella storia, rappresenta un pensiero "altro", capace di offrire una risposta adeguata alla crisi attuale che appare, sempre più, una tempesta senza fine.

Il mondo mediterraneo che in questi ultimi tempi, sconta le conseguenze più drammatiche della crisi, propone attraverso questo studioso una possibile soluzione che va alla radice di un sistema economico generatore di diseguaglianze crescenti e di guerre fratricide. Genovesi individua nell' inadeguato e riduttivo concetto di persona e di società la radice di questo malessere e da qui la sua attualità di fronte ad un'economia che ha smarrito questi principi.

Il numero del 10 marzo del quindicinale Città Nuova contiene un'approfondita intervista con il professor Stefano Zamagni, punto di riferimento internazionale dell'economia civile, che di Genovesi è un cultore. «Nel 2004, assieme a Luigino Bruni (economista), ho pubblicato un libro intitolato Economia civile che è stato tradotto in sette lingue senza alcuna spinta da parte dell'editore e degli stessi autori. È un segnale. Ci si rende conto che esistono problemi, in questa fase storica, che non possono essere risolti se non rimettendo al centro del discorso economico la fraternità e il legame di fiducia». Ecco alcune domande a cui ha risposto Zamagni. Il resto dell'intervista si trova sulla versione cartacea.

Professor Zamagni, guardando a ciò che sta accadendo in Grecia e non solo, non sembra che il cambio di prospettiva nell'economia sia troppo lento ad affermarsi?
«Ciò che avviene è l'effetto di errori politici gravissimi. Recentemente Olivier Blanchard, capo economista del Fondo monetario internazionale, con onestà intellettuale, ha preso atto di avere sbagliato i calcoli del modello teorico usato per determinare i moltiplicatori fiscali (stimato un valore di 0,5 contro un effettivo 1,30: vuol dire che non è vero che la riduzione della spesa pubblica genera crescita, ndr). Questo errore del Fmi è servito a dare istruzioni all'Europa per stringere i freni credendo, con questo, di determinare la ripresa dell'economia. Purtroppo i governanti europei gli hanno dato ascolto».

Ma non si è trattato di una scelta imposta? Praticamente non esisteva alternativa…
«Non è affatto vero. Obama, negli Usa, non ha dato ascolto al Fmi perché gli americani guardano alla sostanza e non alle formule e perciò hanno dato seguito ad una linea post-keynesiana e non hanno, infatti, i nostri problemi economici».

Non incide, nel caso, il diverso peso politico che gli stati europei hanno?
«Non parlo dell'Italia ma dell'Europa, della regia dell'Unione europea, perché la Germania ha avuto tutto da guadagnare dalla politica di austerità, che ha determinato l'aumento delle sue esportazioni. Ma l'alternativa esisteva, come sanno i migliori economisti. Ben cinque premi Nobel per l'economia (Kenneth Arrow, 1972; Peter Diamond, 2010; William Sharpe, 1990; Eric Maskin, 2007; Robert Solow, 1987) hanno sentito l'obbligo di stilare un documento congiunto rivolto al presidente Usa per affermare la possibilità di un'alternativa reale e praticabile. Il medico ha sbagliato la ricetta e il paziente sta peggio, questo è tutto. Quando Amartya Sen ha tenuto, a inizio 2013, la sua lezione pubblica a Roma, lo ha affermato in maniera molto esplicita. Ciò che sta avvenendo è la dimostrazione che la teoria economica ereditata dal recente passato è sbagliata e, per questi motivi, dobbiamo tornare all'economia civile, perché se non cambiamo il modello di pensiero, continueremo a fare altri errori e ad aggravare la crisi. Bisogna rimboccarsi le maniche, studiando, facendo ricerca, ma, prima di tutto, cambiando l'assunto antropologico di base: il paradigma dominante basato sul pensiero di Hobbes ("Homo homini lupus")».

Risalendo ad un tempo più vicino al nostro, si può ritrovare una continuità tra l'esperienza e il pensiero di Adriano Olivetti e l'economia civile di Antonio Genovesi?
«Esistono tante storie e percorsi che testimoniano un altro modo di pensare e agire in economia. Olivetti, ad esempio, sosteneva, negli anni Sessanta, quello che riusciamo ad affermare oggi. Era in anticipo sui tempi, con il risultato che gli hanno reso la vita impossibile, a cominciare dalla Fiat e dalla politica. Come Genovesi, che è stato abbandonato perché considerato utopista. Le idee di Olivetti stanno tornando. Certo non usava termini come "capitalismo condiviso", concetto che circola ormai nelle scuole di business di Harvard, ma lo praticava nei fatti, nel suo modo di fare impresa. Quando è dominante una certa ideologia, le voci che cantano contro il coro diventano facilmente delle vittime. Certo, l'attesa può durare troppo e perciò si tratta di affrettare i tempi. Ma se si dice che va tutto male e non ci si muove, innovando socialmente, si finisce per credere che tutto sia destinato a perdersi. Bisogna riconoscere, perciò, il senso della politica, che è quello di accorciare i tempi e non di allungarli».

Il programma completo delle celebrazioni dell'anno dedicato ad Antonio Genovesi è nel pdf allegato

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