Usa, perché Biden non libera Leonard Peltier?

La storia emblematica dell’attivista dei diritti dei nativi americani, in carcere dal 1977. Le gravi anomalie del processo sono riconosciute dallo stesso pubblico ministero che lo ha condannato. L’invito a rivolgere direttamente un appello urgente al presidente uscente per la concessione della grazia secondo la prassi consueta negli Stati Uniti. Intervista a Marinella Correggia
Leonard Peltier foto da Wikipedia CC BY 2.0

Un diffuso senso di imbarazzo ha accolto la decisione del presidente uscente dalla Casa Bianca, il democratico Joe Biden, di concedere la grazia al proprio figlio Hunter, riconosciuto colpevole da una corte federale per una serie di reati che lo avrebbe esposto a scontare 25 anni in carcere.

È frequente negli Usa il ricorso all’antica usanza regale della grazia in occasione di determinati eventi, come, appunto, il passaggio di consegne al vertice della presidenza statunitense. Appartiene ad Obama il maggior numero di grazie e commutazione di pene concesse nell’ultimo giorno del suo secondo mandato alla Casa Bianca.

Una pratica significativa nella grande potenza mondiale che detiene un record del numero dei detenuti secondo i dati del maggio 2024 del Dipartimento alla Giustizia Usa: 2,08 milioni di persone, tra le quali ben il 69% appartiene a minoranze etniche. Tra queste si considerano i cosiddetti nativi d’America, conosciuti da noi come “indiani”, che formano una vera e propria “nazione” composta da alcune centinaia di tribù discendenti da una popolazione sottoposta ad una lunga sistematica pratica di sterminio di tipo coloniale.

La vicenda di Leonard Peltier, nato nel 1944 nella comunità indiana degli Ojibiway (Nord Dakota), è strettamente legata al cammino di liberazione dei popoli oppressi che ha segnato gli anni ’60 su scala mondiale.

L’appartenenza e l’impegno di Peltier nel movimento nonviolento indiano americano ha comportato un prezzo molto duro da pagare. Ha compiuto lo scorso settembre il suo ottantesimo compleanno ristretto nel carcere dopo la condanna della reclusione a vita comminata nel 1977 al termine di un processo celebrato sotto forti pressioni dell’accusa che ha impedito il riconoscimento di molte prove che smontano la tesi dell’omicidio di due agenti dell’Fbi.

Oltre ad Amnesty International esistono realtà che non hanno dimenticato Leonard Peltier e l’istanza di giustizia dei diritti dei nativi americani. In Italia è molto attiva Marinella Correggia, giornalista nota per le sue inchieste in materia ambientale, autrice di diverse pubblicazioni e saggi di approfondimento, alla quale abbiamo posto alcune domande nel merito del caso Peltier che, nonostante una campagna che dura da decenni, resta poco noto. Eppure si tratta di una vicenda emblematica, meritevole di essere raccontata sugli schermi.

Partiamo dai fatti. Di cosa è accusato l’attivista indiano e in che contesto è avvenuto il processo che lo ha condannato?
Leonard Peltier è un attivista per i diritti delle popolazioni native negli Stati uniti. Si trova in carcere da quasi 49 anni, oltretutto per un delitto che non ha commesso. E non lo dice solo lui ma gli stessi giudici del processo. Ha compiuto 80 anni lo scorso settembre. L’unico che può firmare la clemency è il presidente Biden, che finora ha graziato molte persone ma non lui. Occorre però insistere fino a gennaio.

Tutto ebbe inizio con i “fatti di Oglala”, il 26 giugno 1975. A Pine Ridge, territorio degli Oglala Lakota, nel corso di una sparatoria morirono due agenti dell’Fbi e un nativo. Peltier, scomodo attivista, diventò un perfetto capro espiatorio. Venne condannato nel 1976 a due ergastoli, dopo un processo (giuria di soli bianchi) segnato da discriminazione e pregiudizi.

Si è sempre proclamato innocente e molte volte ha chiesto un nuovo processo. Arriva il 2003 e i giudici del decimo circuito dichiararono che sulla vicenda sono state falsate prove, rese testimonianze fallaci e nascoste perizie balistiche (quando furono scoperte dopo il processo, i pubblici ministeri dovettero ammettere che non era possibile determinare quale arma avesse ucciso i due agenti). Di fatto, la colpa di Peltier era di trovarsi sul posto.

Cosa altro è emerso su questa vicenda?
Nel 2017 perfino James Reynolds, che nel processo era stato pubblico ministero, scrisse al presidente Barack Obama chiedendo (invano) un atto di clemenza. Dopo la mancata clemency da parte dei presidenti democratici Bill Clinton e Barack Obama, nel 2021 James H. Reynolds, ha scritto a Biden: «Scrivo oggi da una posizione inconsueta per un ex pubblico ministero, per supplicarvi di commutare la pena di un uomo che ho contribuito a mettere dietro le sbarre. Con il tempo e col senno di poi, mi sono reso conto che il procedimento giudiziario e la lunga incarcerazione del signor Peltier erano e sono ingiusti».

Diverse autorità internazionali hanno chiesto nei decenni la liberazione di Leonard Nelson Mandela, madre Teresa di Calcutta, papa Francesco, Amnesty International, il Parlamento europeo, Rigoberta Menchù e moltissime persone.

Chi negli Stati uniti lo sta aiutando? Esistono azioni in tal senso da parte degli esponenti della nazione indiana?
I movimenti per la liberazione di Leonard Peltier (l’International Leonard Peltier Defense Committee, Amnesty International, l’American Indian Movement, NDN Collective e le organizzazioni italiane come il Comitato di solidarietà con Leonard Peltier di Milano e il Centro di Ricerca per la Pace, i Diritti Umani e la Difesa della Biosfera di Viterbo) insistono sull’azione di pressione sulla Casa Bianca per chiedere la liberazione necessaria dell’attivista indigeno. Lo stesso fanno comitati in vari Paesi.

Cosa si può fare dall’Italia e perché, da anni, te ne stai occupando coì tanto?
Perché è un caso evidente di disumanità e ingiustizia. Per questo ci ostiniamo a rivolgerci a Biden, al quale pure nulla mi accomuna. Chiediamo dunque di procedere in due modi. Per prima cosa mandare lettere postali con firme, individuali e di gruppo (con francobollo e tutto) all’indirizzo “Biden, White House, 1600 Pennsylvania Avenue NW, Washington DC, 20590, Stati Uniti”.

Si può seguire anche la procedura prevista per scrivere lettere a Biden direttamente dalla pagina web della Casa Bianca  https://www.whitehouse.gov/contact/. Sul foglio (e anche sulla busta) basta anche scrivere solo Clemency for Leonard Peltier. Come campagna di pressione proponiamo di scrivere questo testo in inglese:

Dear President of the United States of America, We are writing to ask you to grant pardon to Mr. Leonard Peltier. Leonard Peltier is almost 80 years old and suffers from multiple serious pathologies that cannot be adequately treated in prison: he has little left to live. Leonard Peltier has already suffered 48 years in prison for a crime he did not commit: his release was also requested by Nelson Mandela and Mother Teresa of Calcutta, by the Dalai Lama and Pope Francis, by Amnesty International, by the European Parliament, by the UN, and by millions of human beings. Dear President of the United States of America, restore Leonard Peltier’s freedom; don’t let an innocent man die in prison”.

(“Caro Presidente degli Stati Uniti d’America, Le scriviamo per chiederle di concedere la grazia al signor Leonard Peltier. Leonard Peltier ha quasi 80 anni e soffre di molteplici gravi patologie che non possono essere adeguatamente curate in carcere: gli resta poco da vivere. Leonard Peltier ha già sofferto 48 anni di carcere per un crimine che non ha commesso: la sua liberazione è stata chiesta anche da Nelson Mandela e Madre Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama e da Papa Francesco, da Amnesty International, dal Parlamento europeo, dall’ONU e da milioni di esseri umani. Caro Presidente degli Stati Uniti d’America, restituisca la libertà a Leonard Peltier; non lasci che un innocente muoia in carcere»).

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