Usa-Nord Corea, il senso di un incontro simbolo
«Due uomini che fanno la differenza, due uomini che hanno scelto di fare la storia». Il video che ha dato il via allo storico incontro tra il presidente statunitense e il leader nord coreano a Singapore è stato il dono che Donald Trump ha portato a Kim Jong Un, quasi a mostrargli visivamente gli effetti del loro summit e la prospettiva di futuro che l’accordo di pace avrebbe aperto per tutta la regione, inclusi Cina e Giappone.
Il vertice tra i due presidenti è stato un incontro di Stato, ma è stato anche un incontro mediatico, con strade tapezzate di spettatori e giornalisti che si accalcavano per cogliere un’immagine del corteo che stava scrivendo davvero una pagina memorabile. Le foto, le riprese delle strette di mano, della passeggiata, della sigla dell’accordo sono girate sui media di tutto il mondo mostrando un Trump fiducioso e un Kim Jong Un finalmente riabilitato nel suo ruolo di presidente. Archiviati, almeno per adesso, i tweet denigratori e irriverenti da un lato e i minacciosi test nucleari dall’altro.
I 4 punti ufficiali siglati dai due leader mettono le basi per una pace duratura nell’intera area e la cessazione di decenni di conflitti e ostilità: il presidente nordcoreano ha assicurato il suo impegno per la denuclearizzazione e gli Usa da parte loro hanno garantito la restituzione dei prigionieri di guerra. Dietro le quinte però rimangono tante incertezze poiché non sono stati definiti tempi e modi dello smantellamento degli armanenti nucleari: Kim Jong Un ha promesso di distruggere un sito di test dei motori missilistici, ma la portata di tale processo non è chiara e nebulosa rimane quella dei programmi sulle armi chimiche e biologiche. Trump, da parte sua, ha già garantito che cessaranno le esercitazioni congiunte con la Corea del Sud e non si aggraveranno le sanzioni, al momento ancora in vigore.
Certamente l’incontro e la foto dei due learder ha” normalizzato” sulla scena internazionale il presidente della Corea del Nord, che comunque governa «uno Stato detentore di armi nucleari illegali» e non rispettoso dei diritti umani. Proprio su questo fronte il presidente americano è stato ampiamente criticato poiché nell’accordo non c’è alcuna traccia a riguardo, proprio a poche settimane dell’anniversario di Otto Warmbier, lo studente di Cincinnati condannato a 15 anni di lavori forzati per aver rubato, secondo le autorità di Pyongyang, un poster del presidente nordcoreano.
Dopo un anno di coma, lo scorso giugno lo studente venne rimpatriato negli Usa e morì 5 giorni dopo il rientro. La contestazione presidenziale è arrivata anche da esponenti del partito repubblicano che hanno ricordato come, nella trattativa Usa-Urss tra Reagan e Gorbaciov, il tema dei diritti umani non fosse mai stato tralasciato, senza che di fatto si frenassero i progressi nelle relazioni tra i due Paesi. Lo stesso è avvenuto per la questione della libertà di religione in Cina, sollevata a suo tempo da Bush, che non ha di fatto incrinato i rapporti commerciali tra le due potenze economiche.
Altro nodo con cui Trump e il principale mediatore di questo accordo, il segretario di Stato Mike Pompeo, dovranno misurarsi è il voto al Congresso. I repubblicani chiedono che l’accordo sia trasformato in trattato, con una ratifica ufficiale delle due Camere, in modo che permanga oltre la durata della presidenza Trump. In questo modo non si rischierà di incappare nelle stesse controversie dell’accordo sul nucleare iraniano che Obama firmò senza l’accordo dei due partiti al governo, lasciando al suo successore strada spianata per l’annullamento. Pompeo, quindi, dopo il suo viaggio a Seul e Pechino per tranquillizzare la leadership dei due Paesi sugli sviluppi dell’incontro di Singapore, martedì prossimo è atteso al Senato statunitense e sarà accolto da un cauto ottimismo da entrambi gli schieramenti che giudicano, comunque, l’incontro una vittoria seppur con tanti distinguo.
Da New York, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, attraverso il suo portavoce ha ribadito la sua disponibilità nel sostenere il processo di dialogo tra Usa e Nord Corea, definito «un’importante pietra miliare nel progresso della pace e nella denuclearizzazione completa e verificabile nella penisola coreana». Ha poi sottolineato che l’attuazione degli accordi siglati tra i due Paesi e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza richiederanno «cooperazione, compromesso e lavoro per una causa comune», ai quali nessuno degli attori potrà sottrarsi.
La scelta americana di chiudere il capitolo della guerra con Kim Jong Un permette di aprire quello, inesplorato, della pace, una pace che però rischia di rivelarsi contraddittoria sia per le estenuanti trattative sui tempi di denuclearizzazione, sia per le verifiche che l’Agenzia delle Nazioni unite per il disarmo nucleare si è impegnata a fare.
Quale tipo di pace si prospetterà in una penisola con un Sud estremamente sviluppato e democratico e un Nord povero e, in fondo, guidato da una dittatura è tutto da scoprire. Si spera che l’appuntamento di Singapore sia davvero un passo di reale riconciliazione.