Usa e Cina, una sfida che cresce e si arma
Il rapido disimpegno statunitense dal teatro afghano segue in realtà un riorientamento degli interessi di Washington che era in atto ben prima della presidenza Biden, come testimoniano gli eventi libici e siriani. Da queste aree di conflitto gli Stati Uniti si sono progressivamente ritirati per concentrarsi sullo scacchiere asiatico, in relazione alla crescente potenza cinese.
Se per anni Pechino ha puntato su una crescita economica e su un’espansione commerciale sempre più vasta, oggi l’incremento delle sue spese militari comincia a destare qualche preoccupazione. La sfida non è più solo in ambito economico e commerciale, ma anche in ambito militare: il confronto per la supremazia nel XXI secolo è chiaramente iniziato.
La spesa militare degli Usa (778 miliardi di dollari nel 2020, quasi il 40% del totale mondiale) è circa il triplo di quella della Cina (252 miliardi), la quale però nell’arco dell’ultimo decennio ha quasi raddoppiato la sua (129 miliardi nel 2010), ammodernando significativamente le proprie forze armate.
Va peraltro ricordato, per quel che vale, che la popolazione cinese (1,4 miliardi di persone) è più del quadruplo di quella statunitense (329 milioni di persone) e che quindi la spesa percentuale pro capite, secondo i dati del prestigioso Sipri, nel primo caso (175 dollari) è assai inferiore alla seconda (2.351 dollari).
Avanzatissimi tecnologicamente nel settore militare e con basi (circa 600) disseminate in larga parte del mondo, gli States sono in grado di esercitare una presenza di tutto rispetto e cercano di contrastare l’espansionismo del Dragone.
Infatti negli ultimi anni la questione delle isole contese con i vicini nel Mar Cinese Meridionale, il nodo di Hong Kong e il problema di Taiwan sono divenuti elementi di una tensione crescente.
Il recente patto Aukus tra Australia, Gran Bretagna e Stati Uniti, con l’accordo per la fornitura a Canberra di sottomarini a propulsione nucleare, conferma la maggiore presenza statunitense in quell’area.
La risposta di Pechino non si è fatta attendere: diverse decine di caccia cinesi sono entrati ripetutamente nello spazio di identificazione aerea di Taipei, evidenziando le rivendicazioni di Pechino per Taiwan ritenuta parte integrante della madre patria. Peraltro, già da tempo navi cinesi solcano i mari vicini espandendo il proprio raggio d’azione, mentre i cantieri navali ne stanno costruendo altre in madre patria al punto che, secondo l’Office of Naval Intelligence (Oni) degli Usa, dalle 360 attuali il Dragone arriverà a 400 navi militari entro il 2024.
Il riarmo delle due potenze, anziché rassicurare, fa presagire futuri oscuri, e l’appello di Macron per una maggiore presenza militare dell’Ue in quelle acque dell’Indo-Pacifico preoccupa ulteriormente, mentre sarebbe auspicabile un ruolo europeo diverso, unitario ma teso alla distensione e al dialogo.