Uruguay, l’addio alla politica di José Mujica

L’addio alla politica dell’ex presidente José Mujica: un ex guerrigliero, che non ha coltivato l’odio. Una figura, se si vuole, fuori dal comune. Ma nemmeno tanto. Si direbbe piuttosto un uruguayo tipico
Pepe Mujica, ex presidente dell'Uruguay (AP Photo/Matilde Campodonico)

Che l’Uruguay sia un Paese del tutto speciale, non lo dicono le sue dimensioni e la sua scarsa popolazione: 3 milioni e mezzo di anime sparse su un “grande campo da golf” (come ebbe a dire un astronauta dallo spazio), poco meno di 180.000 kmq – metà dell’Italia o poco più –. Ciò che rende speciale l’Uruguay, manco a dirlo, sono gli uruguayani. Gente accogliente, che ha fatto della sobrietà una virtù nazionale, aperta, fortemente democratica e sensibile all’uguaglianza. Un Paese dove confusi tra il pubblico di un concerto puoi trovare artisti di successo senza pose da star, dove fa la fila al botteghino del cinema insieme a te un ministro o una senatrice; dove i due grandi partiti tradizionali vantano 184 anni di storia (quando l’unità d’Italia era ancora un sogno); dove durante il suo primo mandato, il presidente Tabaré Vázquez ha continuato settimanalmente la sua attività di oncologo, dove i leaders politici e gli ex presidenti tornano a casa con lo stesso patrimonio di prima.

Eppure l’Uruguay ha avuto i suoi conflitti, le guerre civili (Garibaldi, che qui ci ha combattuto guidando una squadra navale, è un eroe per un partito e un gaglioffo per l’altro) ed anche le dittature. Ma all’indomani del ritorno alla democrazia, si ritrovarono insieme, nella commissione che progettava un piano di sviluppo per l’infanzia, il generale Hugo Medina e l’ex guerrigliero tupamaro Mauricio Rosencof: il primo era un militare che aveva ricoperto importanti incarichi durante la dittatura, il secondo era stato detenuto illegalmente per 12 lunghi anni, come ostaggio, insieme ad altri due tupamaros mai condotti davanti al giudice. Per mesi, entrambi sedettero allo stesso tavolo della commissione, ciascuno offrendo il suo contributo al bene dell’infanzia. Durante una pausa di quelle appassionate sessioni, Rosencof si allontanò per fumarsi una sigaretta e Medina ammise confidò a cuore aperto riferendosi a lui: “Come non voler bene a quest’uomo?”.

Josè “Pepe” Mujica fu uno di quei tre ostaggi. Le torture e le condizioni disumane nelle quali furono detenuti, lo condussero al limite della pazzia. Tanto è vero che gli altri due compagni credettero che ormai la sua mente se ne fosse “andata”. E invece no! Una volta liberati, Mujica recuperò la salute mentale e continuò la sua attività politica fino ad essere eletto presidente (2010-2015) dell’Uruguay.

Il mese scorso, sia lui che il suo avversario politico, il due volte presidente Julio María Sanguinetti, si sono ritirati dall’incarico di senatore. Durante una commovente sessione, hanno preso congedo dall’Istituzione legislativa pronunciando alcune, poche, parole.

Fedele al suo stile informale e, si direbbe, bonaccione, Mujica ha prima di tutto ricordato un avversario politico, un ex ministro dell’economia scomparso qualche anno fa, evocandone la nobiltà d’animo. Poi ha fatto alcune considerazioni, tra le quali quella di non aver coltivato l’odio politico, perché, ha detto: “l’odio è cieco, come l’amore”. Ed ha aggiunto: “Ma l’amore è creativo, l’odio ci distrugge. Ho la mia parte di difetti, sono passionale, ma nel mio giardino è da decenni che non coltivo l’odio, perché ho appreso una dura lezione che mi ha dato la vita: l’odio finisce per instupidirci, ci fa perdere obiettività”. E quella dura lezione gli ha insegnato che il combustibile per i cambiamenti non è l’odio ma l’amore, e questo gli fece comprendere che la violenza non è la strada giusta. Mujica fece sua questa lezione durante i lunghi anni di prigionia, di sconfitta, se vogliamo, di fallimento. Per questo ha potuto lasciare l’attività politica ricordando ai giovani prima di tutto che le persone passano, ma le buone cause restano e che “avere successo nella vita non è vincere. Avere successo nella vita è rialzarsi per ricominciare ogni volta che si cade”.

E quanto insegna al mondo questo Paese piccolo piccolo, dove il 90% della gente ha fiducia nel suo governo e si sono auto confinati per affrontare la pandemia di Covid-19, con risultati invidiabili. In un Paese dove c’è chi ha il coraggio di non odiare e ammette di credere nell’amore, anche in politica.

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