Uruguay, pronto il governo di centrodestra
Dell’Uruguay in Italia si sa poco, se non che vi ha combattuto Garibaldi, comandando una squadra navale durante la guerra civile. Una sua statua accoglie i turisti che sbarcano al porto di Montevideo, ed all’eroe dei due mondi è stata dedicato un importante viale della capitale. Eppure, questo piccolo Paese, due terzi dell’Italia ma con meno abitanti della Toscana (3,4 milioni), è un esempio di democrazia e di stabilità.
Dopo tre lustri di governo del Frente Amplio, coalizione di centrosinistra, il primo marzo si insedierà come presidente Luis Lacalle Pou, alla testa di un governo di centro destra – più centro che destra –. Durante questi tre mesi di transizione dalle elezioni di novembre ha definito la compagine di governo e i rapporti con l’opposizione. Senza traumi, senza trasformare gli avversari in nemici.
In genere l’Europa guarda con sufficienza l’esperienza democratica sudamericana, convulsa – è vero – in non poche fasi storiche, come se il Vecchio continente non avesse sofferto dittature (Grecia, Portogallo e Spagna le ultime) e non fosse stato l’epicentro di ben due guerre mondiali. Ebbene, questo piccolo territorio ha partiti politici più vecchi dell’indipendenza italiana, come il Partido Nacional, vincitore delle ultime elezioni e del quale fanno parte Lacalle Pou e la sua vicepresidente, Beatriz Argimon, e il Partido Colorado, oggi alleato di governo, a suo tempo promotore di una socialdemocrazia che negli anni Venti e Trenta promosse uno stato sociale ante litteram, che trasformò il Paese al punto da essere noto come “la Svizzera d’America”. Con orgoglio, uno dei suoi presidenti, di ritorno da un viaggio in Europa, esclamò dopo essere stato nel Paese elvetico: «Ho conosciuto l’Uruguay d’Europa».
Domenica prossima, il presidente Tabaré Vázquez consegnerà il testimone al suo successore e tornerà a casa sua. Oncologo, due volte capo di Stato, durante il primo mandato ha continuato a seguire i suoi pazienti una volta la settimana, spiegando che non li si poteva lasciare, data la delicatezza del loro stato. Prima di lui, se n’è tornato a casa dopo cinque anni fa José Mujica, nella stessa casetta di campagna mezza dissestata dove abita da anni.
Durante queste settimane il Frente Amplio, che sarà opposizione, ha negoziato col futuro governo ben 34 incarichi all’interno dell’esecutivo. Si tratta di posti in organismi di controllo, enti autonomi e decentralizzati; dalle aziende pubbliche (acqua, telefoni e luce) alla storica Banca della Repubblica Orientale dell’Uruguay, nome ufficiale del Paese, dalla Corte elettorale a quella dei conti (Tribunal de cuentas). Per Lacalle Pou si tratta di un accordo essenziale: la presenza di rappresentanti dell’opposizione negli enti pubblici e, soprattutto, negli organismi di controllo è necessaria per la trasparenza della gestione di governo. Il futuro segretario della presidenza, Alvaro Delgado, ha annunciato l’accordo nel quale si sono seguiti «criteri molto simili a quelli usati da Tabaré Vázquez all’inizio della sua amministrazione. Anzi, è volontà del governo eletto di assegnare al Frente Amplio una partecipazione maggiore di quella che deriverebbe dalla quantità di voti ottenuti». Dunque, una prassi per niente nuova, finalizzata a una migliore qualità della democrazia.
Figlio e nipote di presidenti, Lacalle Pou arriva al mandato dopo aver superato di poco il suo avversario del Frente Amplio, appena 30 mila voti di differenza. Nel secondo turno è stato necessario il contributo dei “colorados” e del gruppo di destra “Cabildo abierto”. La sua sarà una gestione di stampo più liberale, in un Paese che ha una forte tradizione di presenza dello Stato nell’economia e di politiche sociali. Due tentativi di privatizzare acqua, luce e telefoni, che contribuiscono agli introiti delle casse pubbliche, sono falliti: la gente ha fiducia in queste istituzioni. Non a caso, la percentuale dei votanti nei due turni realizzati ad ottobre e novembre ha superato il 90 per cento degli aventi diritto al voto. Si può essere un Paese piccolo e allo stesso tempo aver fiducia nella democrazia.