Urge ricambio generazionale

Quanto si rinnova l'Italia? C'è spazio per i giovani? Poco, sembrerebbe. Intervista con Cristian Carrara, del Forum nazionale dei giovani.
Fumetti

Qualcuno dice che l’Italia non è un Paese per vecchi, dal momento che la condizione dei nostri anziani non gode certo di “buona salute”; altri affermano che questa stessa Italia non è un Paese per giovani stante la difficoltà di un’intera generazione a farsi strada nella società.

Per chi è allora il nostro Belpaese? Di criticità possiamo certo riscontrarne a tutte le età e forse sono vere tutte e due le affermazioni. O forse ci troviamo di fronte a due “sofferenze” che possono incontrarsi, anziché scontrarsi. Proviamo a ragionare.

 

Un rapporto pubblicato di recente sul rinnovamento delle classi dirigenti in Italia, ci mostra un quadro poco incoraggiante. La ricerca, promossa dal Forum nazionale dei giovani e dal Cnel (Consiglio nazionale economia e lavoro), ha fotografato la presenza dei giovani nelle rappresentanze istituzionali e in alcuni settori chiave del mondo del lavoro e della cultura. I risultati evidenziano la tendenza della nostra classe dirigente a difendere le posizioni acquisite (una poltrona fa sempre comodo) e la difficoltà, che in molti casi diventa impossibilità, dei più giovani, ad inserirsi nel mondo del lavoro. Figurarsi poi a far carriera.

 

Di fronte quindi ad una pronunciata longevità non solo anagrafica ma anche lavorativa degli adulti, la carica innovativa tipica del mondo giovanile sembrerebbe sbriciolarsi.

Una situazione che negli ultimi anni ha continuato a peggiorare. Un dato eclatante, ad esempio, riguarda i politici a livello nazionale. I parlamentari under 35 costituiscono il 5,6 per cento del totale, mentre nel ’94 erano più del 12 per cento.

E la stessa definizione di “giovani” si dilata su una fascia di età sempre più larga, tanto da dover individuare una nuova categoria, quella dei giovani-adulti per definire gli ultra 35enni, magari ancora a casa dei propri genitori, in difficoltà nel pensare ad un progetto di vita, a metter su famiglia e quant’altro.

 

Ne parliamo con Cristian Carrara, portavoce del Forum nazionale dei giovani.

 

Perché i giovani contano così poco?

«Contano pochissimo per due ragioni: la prima è dovuta al fatto che  sono numericamente pochi rispetto ad altre classi di età. Questo, lo sappiamo, è dovuto alla famosa crisi demografica in un Paese che non fa figli, vuoi per la mancanza di fiducia nel futuro, vuoi per l’assenza di efficaci politiche per la famiglia.  

«Il secondo motivo è la chiusura degli spazi nei confronti dei giovani: nei tavoli in cui si fanno le politiche, essi non hanno voce. Sarebbe interessante sapere che orientamento prenderebbe il Parlamento se, ad esempio, rispetto alla riforma delle pensioni, ci fossero più giovani a discuterne.

«Inoltre c’è tutto l’aspetto delle lobby professionali. Guai a chi tocca certi ordini. Basta vedere come le due professioni maggiormente rappresentate in Parlamento siano quelle degli avvocati e dei medici… ed anche i giornalisti sono in buona posizione».

 

Come valutare il fatto che gli adulti hanno poca fiducia nei giovani?

«Bisogna tenere presente che i giovani sono anzitutto il frutto di una società che è stata costruita dai loro genitori. Sparare sui figli vuol dire anche sparare sui padri e dunque si tratta di un grande problema educativo. È evidente che le giovani generazioni vanno formate da testimoni credibili che mostrino un mondo dove ci sono dei valori, dei princìpi».

Cosa dovrebbero fare i giovani per suscitare un atteggiamento diverso nei loro confronti?

«Essi oggi sono mediamente più preparati, sanno utilizzare molto meglio gli strumenti dell’epoca globale. Quello che ravviso è una mancanza di intraprendenza politica, della coscienza che per ottenere delle cose è necessario confrontarsi con gli strumenti della cittadinanza. Ciò non vuol dire fare strettamente politica all’interno di un partito, ma significa pensarsi innanzitutto come cittadini, come membri di una comunità. Questo credo che sia il maggiore danno che i nostri padri ci hanno lasciato: quello di averci educati all’individualismo. È evidente che se tu educhi un ragazzo a pensare solo a sé stesso, faticherà poi a considerare importante costruire relazioni sociali».

 

Quali proposte concrete avanza il Forum dei giovani?

«Innanzitutto vorremmo che ci si convincesse del fatto che chiamare le rappresentanze delle giovani generazioni ai tavoli in cui si parla del loro futuro non solo è una necessità, ma è un dovere. Si parla delle pensioni? I veri soggetti coinvolti saranno i giovani perché qualsiasi riforma si farà ora ricadrà sulle future generazioni.

«Il secondo invito è che si inizi a pensare ad una legge elettorale che abbia come obiettivo di favorire il maggior ricambio generazionale possibile.

«Terza richiesta: la trasparenza rispetto ai concorsi e agli ordini professionali. È strano che la maggior parte dei giovani che stanno nell’ordine dei notai vengano per lo più da una famiglia dove c’è un genitore notaio…

«Si dovrebbe rimettere in moto il cosiddetto “ascensore sociale”, cioè la possibilità di mobilità da una classe sociale all’altra che nel nostro Paese è inesistente. Il figlio di un operaio con molta probabilità continuerà a fare l’operaio come il figlio di un avvocato farà l’avvocato…».

 

Da più parti si parla della necessità di un patto fra generazioni. Potrebbe essere una buona soluzione?

«Nessuno parla di uno scontro fra generazioni anche se a volte sembra che qualcuno lo voglia. Però bisogna vedere cosa c’è scritto in questo patto. Si può anche pretendere dai giovani dei sacrifici, ma che ci sia per questi la possibilità di prendere delle decisioni. Insomma, dateci la possibilità di provare. Magari faremo peggio di voi, ma non decidete al nostro posto».

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