Urge la riforma fiscale
Perché tante pressioni per frenare il prelievo fiscale da rendite e trasferimenti di beni? I guadagni potrebbero fornire capitali da investire su lavoro e consumi
Le pressioni per frenarla, ritardarla, svuotarla, renderla inefficace sono tante, a partire proprio dagli imprenditori del lusso, dai membri dei consigli di amministrazione di società di capitali, fino a proprietari di immobili, amministratori delegati e faccendieri, funzionari di grandi enti della Pubblica Amministrazione, senza tralasciare investitori in titoli e certificati del Tesoro.
Se la riforma passasse, il peso delle tasse verrebbe ad influire non tanto sui redditi da lavoro, quanto sui trasferimenti di beni e sulle rendite, soprattutto delle società. Basti un dato: ogni anno in Italia vi è un passaggio di proprietà di circa 200 mila immobili, con un valore, cadauno, da 50 mila euro in su. Il 90 per cento di questi beni appartiene a società, per legge godono dell’esenzione Iva e quindi chi finora ha vissuto di privilegi fiscali non è proprio disposto a ridurre gli introiti per una maggiore equità fiscale.
A questo esiguo gruppo di lobbisti, finanziatori di campagne elettorali, talvolta ammanicati con i partiti politici, riottosi al cambiamento, si affianca un buon numero di cittadini per bene che però non riesce a percepire fino in fondo la necessità della riforma e la pericolosità dei discorsi giustificativi e i dubbi finiscono per prevalere.
Chi vive solo del reddito da proprio lavoro, di fronte a strette economiche come quelle degli ultimi anni, non può far altro che tagliare perfino sui generi di prima necessità, col conseguente ristagno del consumo interno ed una ripresa della produttività industriale troppo lenta. Tanti altri, soffrendo per il rallentamento della domanda interna, hanno svenduto le loro aziende cercando fortuna negli investimenti finanziari e speculativi: un pezzo di produttività che se ne va e di Italia che muore. Non è detassando gli utili dei grandi amministratori si può pensare di far ripartire l’economia: i beni di lusso da loro richiesti non hanno la capacità e la forza di stimolare la domanda interna e così assistiamo ad una costante deriva.
I 70 mila lavoratori aderenti ai sindacati di base Uil e Cisl che sabato scorso si sono dati appuntamento a Piazza del Popolo sono stati una più che eloquente dimostrazione dei tanti che non indietreggiano di fronte ai sacrifici, ma che al contempo chiedono al governo non solo la riforma fiscale, ma anche una legge quadro sulla non autosufficienza e misure reali di sostegno al reddito, con un’attenzione al precariato che non può essere dileggiato come in questi ultimi giorni e una svolta su questo problema. Angeletti, segretario generale della Uil, interpretando i sentimenti e gli umori di una piazza gremita da pensionati, lavoratori, immigrati, giovani , ha detto che «sono finiti i tatticismi. Non si può tenere in piedi un sistema fiscale che trattiene alla fonte le tasse ai lavoratori, per continuare a garantire lo sperpero e i privilegi dei ricchi». All’eterna lamentela dei ministri economici che «non ci sono le risorse per procedere alla riforma fiscale», quasi a giustificare la sperequazione sociale, l’indicazione della piazza è stata chiara: maggiore impegno nella lotta all’evasione ed elusione fiscale e di tirar fuori nei prossimi due anni i 10-20 miliardi necessari a varare la riforma per salvaguardare il lavoro, una priorità e una risorsa, non un problema.
La riforma fiscale potrebbe essere il catalizzatore di un giro di boa davanti all’invilupparsi dell’economia degli ultimi anni, l’occasione strategica e imperdibile per ridare ossigeno ai consumi interni attraverso un alleggerimento della tassazione sui redditi da lavoro, cosa che permetterebbe non solo la creazione di più posti di lavoro per le imprese, la riduzione della disoccupazione ed il reperimento dei fondi per il sostegno del reddito, ma anche una legge organica per la sistemazione all’area drammaticamente sempre più estesa della non autosufficienza. Bisogna avere coraggio!
Pino Palocci