Uranio impoverito e tumori
«Le immagini satellitari ritraggono una discarica non controllata: 30.000 crateri sino a 19-20 metri di diametro. Sulla superficie tonnellate di residuati contenenti cospicue quantità di inquinanti in grado di contaminare suolo, acqua, aria, vegetazione, animali. E l’uomo. A Foxi, frazione del comune di Sant’Anna Arresi (Cagliari), in prossimità delle esercitazioni militari con impiego di mezzi corazzati e con attività a fuoco comprendenti missili con raggi a lunga gittata, nel periodo 2000-2013, si registra un raddoppio della mortalità per tutte le cause e un rischio almeno tre volte maggiore di mortalità e morbosità per le malattie cardiache».
È uno dei primi passaggi della relazione della Commissione parlamentare sull’uranio impoverito, presieduta dal deputato sardo uscente del Pd, e non ricandidato, Gian Piero Scanu, dalla quale emerge un quadro piuttosto preoccupante sull’uso del territorio di Capo Teulada in Sardegna, che sarebbe stato fatto nel corso dei decenni con le esercitazioni militari. Una zona che, si legge nella relazione, «è diventata il simbolo della maledizione che per troppi decenni ha pesato sull’universo militare: un pezzo di terra del nostro Paese, di rara bellezza, che l’uomo ha dovuto vietare all’uomo; quella Penisola Delta utilizzata da oltre 50 anni come zona di arrivo dei colpi (dal 2009 al 2013 circa 24.000 tra artiglieria pesante, missili, razzi), quella penisola permanentemente interdetta al movimento di persone e mezzi».
Il documento parte dall’audizione di Giorgio Trenta, presidente dell’Associazione italiana di radioprotezione medica, dalla quale, secondo la Commissione, emergerebbero gravi responsabilità dei vertici militari e del Governo. In realtà Trenta avrebbe smentito le conclusione del documento parlamentare. «Assolutamente non è il mio pensiero – ha detto all’Ansa -, non ho mai detto che l’uranio impoverito è responsabile dei tumori riscontrati nei soldati. Le mie affermazioni sono state travisate».
Sulla vicenda è intervenuta anche la ministra della Difesa Roberta Pinotti. «Le forze armate italiane – ha detto – hanno massima attenzione alla salute dei militari, quindi è sbagliato criminalizzarle. In Italia non è mai stato utilizzato e acquistato un munizionamento con l’uranio impoverito. È sbagliato criminalizzare le forze armate che sono un’istituzione e un bene di questo Paese».
Nelle 248 pagine di relazione, la commissione parlamentare ha inserito testimonianze, alcune delle quali libere, e anche verbali di visite ad altri poligoni nel territorio nazionale. Diversi poi i pareri e le conclusioni di magistrati impegnati nelle inchieste di altre zone d’Italia sempre in merito alla presenza di metalli pesanti. Secondo la commissione, nei poligoni di tiro presenti sul territorio nazionale c’è una mancata o tardiva bonifica dei residui dei munizionamenti, che ha prodotto rischi ambientali in danno di quanti furono o sono chiamati a operare o a vivere nel loro ambito.
Alcuni documenti sollecitati e acquisiti dalla Commissione hanno messo in luce i rischi di esposizione ad agenti chimici e cancerogeni connessi a sostanze impiegate nelle diverse attività. Il personale militare risulterebbe esposto a rischi fisici, biologici, di esposizione ad atmosfere esplosive, nonché a condizioni di stress lavoro correlato.
Dalla Commissione, oltre all’analisi della situazione e alla constatazione delle criticità presenti, sono giunte anche due proposte di legge: l’una relativa alla tutela dei militari in quanto lavoratori, l’altra concernente la protezione ambientale. Su questo il prossimo governo sarà chiamato a dare risposte concrete.