Uomo vero prima che campione
Nel gioco del calcio il ruolo del portiere sembra appartenere a un altro sport, quasi fosse un corpo estraneo rispetto al resto della squadra. Non se ne fa menzione quando si parla dei moduli di gioco (4-4-2, 4-3-3 o altri), non ce n’è traccia guardando i tabellini di gara: ci sono i nomi di quelli che fanno i gol, spesso sono indicati i numeri e gli autori degli assist, ma delle parate non vi è riferimento in nessuna statistica ufficiale.
Ruolo “ingrato” quello del portiere, adatto per gente “tosta” perché ad alto rischio: se sbagli, l’errore, la “papera”, agli occhi del tifoso non la recuperi neanche facendo una grande partita. A differenza di un attaccante, che si può “mangiare” un gol già fatto, ma che è subito perdonato se realizza poi il gol decisivo.
Tra i più grandi estremi difensori della storia un posto di primo piano spetta certamente a Dino Zoff, l’unico calciatore italiano capace sinora di vincere sia il titolo mondiale (1982), sia quello europeo (1968). Lui, testimone di un calcio quasi di altri tempi, dove il portiere non indossava nemmeno i guanti se non nei giorni di pioggia per ammortizzare l’effetto scivoloso del pallone. Lui, definito dai più come un tipo schivo, di poche parole, che per l’atteggiamento “flemmatico” è stato oggetto d’imitazione da parte di diversi comici.
Ripercorrendo la storia di quest’uomo che ha appena festeggiato i 70 anni (è nato il 28 febbraio del 1942), ci si accorge di quanta strada ha fatto quel ragazzino con le lentiggini partito da Mariano del Friuli, scartato nei primi provini perché ritenuto troppo basso per fare il portiere, e resosi poi protagonista di una lunghissima carriera nel calcio professionistico da giocatore, allenatore e dirigente. Di record ne ha battuti non pochi, di trofei, insieme ai suoi compagni, ne ha festeggiati numerosi, ma per chi ama il calcio Zoff rappresenta soprattutto l’immagine di un uomo che incarna i veri valori dello sport.
Il suo impegno e la sua bravura tra i pali, insieme a un atteggiamento sempre corretto e composto fuori dal rettangolo da gioco, gli hanno fatto guadagnare sia l’affetto dei tifosi delle squadre nelle quali ha militato (570 presenze in serie A con Udinese, Mantova, Napoli e soprattutto Juventus), sia il rispetto e la stima di quelli delle formazioni avversarie, che non l’hanno quasi mai fischiato riconoscendo in lui l’icona di un giocatore che va quasi sopra le fazioni, un giocatore “di tutti”.
Durante i Mondiali del 1978 Zoff ha subìto le più grandi critiche della carriera per dei tiri, dai più definiti “parabili”, che determinarono le sconfitte contro l’Olanda e il Brasile. Purtroppo quei tiri arrivarono da lontano, e per un portiere è una delle cose peggiori che possano capitare. Quattro anni dopo, però, indossando la maglia azzurra, si riscattò con la parata più importante della carriera, al 90° minuto di uno spettacolare Italia-Brasile 3-2 che ci spianò la strada verso la vittoria del nostro terzo Campionato del mondo. Fu proprio lui, il capitano, ad alzare il trofeo in quei giorni che nessuno sportivo italiano potrà mai dimenticare.
Zoff in tanti anni nel mondo del calcio ha passato momenti fantastici, ma ha vissuto direttamente o indirettamente anche grandi drammi che l’hanno segnato profondamente. Come la morte di Renato Curi, durante un Perugia-Juventus tragicamente passato alla storia, o come la scomparsa in un incidente stradale di Gaetano Scirea, suo grandissimo amico.
Super Dino è stato sempre un uomo fedele ai suoi princìpi, come quando, dopo la finale degli Europei del 2000 persi solo al Golden gol contro la Francia, rassegnò le proprie dimissioni da commissario tecnico della Nazionale italiana perché duramente criticato dall’allora premier Berlusconi. Ma Zoff è fatto così, frutto delle sue origini friulane e dell’educazione ricevuta: il valore della dignità dell’uomo sopra di tutto. La gente in tutti questi anni lo ha capito e per questo lo ha sempre ammirato e continua ad ammirarlo ancora.