Uomo e donna limite e risorsa
Nel dibattito degli ultimi mesi viene messa in questione la identità di genere anche da parte di autorevoli editorialisti della stampa nazionale. Da una parte c’è chi pensa che la differenza sessuale non abbia in sé alcun valore oggettivo e, come già prevedono alcune leggi regionali in Italia (leggi Regione Tosca ed Emilia Romagna) e un disegno di legge nazionale sulla violenza in famiglia, diffondono la convinzione che ogni individuo possa stabilire e dichiarare alla pubblica amministrazione la propria identità sessuale e il proprio orientamento sessuale a piacimento. Di conseguenza si dovrebbe accettare il principio della neutralità della crescita nella educazione di bambini e bambine. L’orientamento sessuale (sexual orientation) sarebbe una variabile dipendente dai gusti soggettivi, dai contesti, dalle necessità. Quando si sostiene l’assoluta libertà di autodeterminazione, si nega l’esistenza dei due generi nella loro naturale connotazione o meglio si nega che il corpo e la natura esercitino un qualche condizionamento sul nostro modo di essere persone. È lecito dubitare che una ideologia glissa sui termini sessualità, gender e sexual orientation, riducendo appunto la sessualità ad una opzione. Dato per scontato che la sessualità ha un chiaro riferimento al sesso con cui si connota alla nascita ogni individuo come maschio o femmina, salvo qualche eccezione, la discussione si appunta sul termine genere, da intendersi come elaborazione culturale di una identità biologicamente sessuata (anche la Piattaforma d’Azione di Pechino 1995 – cf n. 193, c – parlava di entrambi i generi). C’è chi, accentuando il ruolo della cultura nell’influenzare il proprio modo di essere donna o uomo, finisce col sostenere la possibilità di autodeterminarsi indipendentemente dal corpo, attraverso la costruzione e la scelta della propria identità e del ruolo di genere. Sull’onda di una interpretazione culturalista, si finisce con l’affermare che l’identità di genere, il ruolo di genere e l’orientamento sessuale si possono conformare ai gusti di ciascuno, in maniera del tutto indipendente dai condizionamenti fisici. Siamo di fronte a schegge impazzite di verità parziali, giacché da una parte è vero che una antropologia rispettosa della persona si dissocia dalla nozione determinista e biologica, secondo cui tutti i ruoli e le relazioni tra i sessi sarebbero fissati in un unico, statico modello determinato dalla natura. D’altra parte però l’essere umano non è solo cultura e la storia si costruisce in un confronto dialettico con la natura e tutti i suoi condizionamenti. Nello sviluppare la propria identità si recepiscono i modelli trasmessi dall’educazione a partire dalla prima infanzia, si adottano nuovi modelli acquisiti dalla frequentazione di ambienti diversi dalla propria famiglia, dalle letture e dalle aspirazioni, ma tutto ciò non può avvenire senza un confronto o, se si vuole, una ermeneutica del proprio corpo, da leggere e interpretare in tutte le sue specificità morfogeniche, ormonali, fisiologiche. Forse bisognerebbe interrogarsi sulle conseguenze di una violenza esercitata contro la natura, prima di accusare il pensiero tradizionalista e domandarsi se la natura non si vendicherà a sua volta violentandoci. Hanno ancora senso i detti latini: Natura non facit saltus (Linneo) e Natura enim non nisi parendo vincitur (Bacone)? Oppure rivendichiamo l’ecologia dell’ambiente solo quando si tratta della natura da proteggere, delle specie in estinzione, dell’inquinamento che ci danneggia, mentre ci facciamo paladini di una libertà astratta dal rapporto corpo? Non è fuori luogo il richiamo dei vescovi e del Magistero al rischio della confusione e del boomerang che queste tesi possono provocare. Il segretario della Cei, mons. Betori, parlando dei nemici che attentano alla persona, come nichilismo e relativismo, ha tenuto a precisare che essi: oscurano la verità della dualità sessuale in nome di una improponibile libertà di autodeterminazione di sé; scardinano la natura stessa della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna (Zenit, 16 maggio 2007). Anche l’osservatorio Van Thuan Observatory, a proposito del rapporto Unicef 2007 aveva sottolineato: Si eccede nel separare il sesso dal genere, sostenendo che il primo è un dato fisiologico e il secondo è un dato culturale e storico. È vero che la differenza sessuale viene anche gestita e vissuta in modo diverso dentro la cultura e la storia, tuttavia non è giusto separare il genere dal sesso, perché quest’ultimo è un dato antropologico fondamentale per la persona (Verona, 15 marzo 2007). Sarebbe un atto di superficialità tacciare la Chiesa di maschilismo: essa ha ormai applaudito alla assunzione di nuovi ruoli da parte delle donne e alla complementare reciprocità tra i sessi, sottolineando fino a che punto il condizionamento culturale è stato un ostacolo al progresso delle donne ed esortando gli uomini a sostenere il grande processo di liberazione delle donne (Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, n. 6). Avrà una qualche buona ragione se oggi sente il dovere di mettere in guardia dalla pretesa di dominare la vita al punto da intaccare il principio originario della differenza che stabilisce insieme il nostro limite e la nostra risorsa: Maschio e femmina li creò, a immagine di Dio li creò. Vi sono complessi problemi dentro questa prima, essenziale frase biblica, in gran parte ancora da approfondire. Non a caso Giovanni Paolo II ha scritto: È urgente sviluppare… una considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti antropologici della condizione maschile e femminile, cercando di precisare l’identità personale propria della donna nel suo rapporto di diversità e di reciproca complementarietà con l’uomo, non solo per quanto riguarda i ruoli da tenere e le funzioni da svolgere, ma anche e più profondamente per quanto riguarda la sua struttura e il suo significato personale (Messaggio per la Pace del 1995, n. 50). Rispetto a questa problematica posizione, fa specie la sicurezza delle ideologie libertarie. È lecito domandarsi come mai il pensiero laico vuole scardinare le differenze che la natura ci consegna, rimangiandosi decenni di Women’s Studies centrati proprio sulla consapevole originale differenza? Come mai si punisce severamente chi ferisce o mutila un cane e si rifiuta di accettare che la egosintonia si stabilisce proprio nel rapporto armonico col proprio corpo? Come mai si difende il principio della biodiversità per la natura e per l’essere umano si vuole l’indifferenza della differenza? Come si può scambiare l’eccezione con la norma e dare per scontato che esistano cinque possibili sexual orientation, tutte equivalenti? È evidente che questo dibattito ha a che fare con la famiglia, la quale risulta indebolita da opinioni spacciate per rivendicazione di libertà e verità: se si sminuisce la natura e si accentua l’autodeterminazione, tutte le forme di unione sono equipollenti e oggetto di riconoscimenti alla pari della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Con buona pace dei deterministi e dei culturalisti, da parte nostra preferiamo guardare alla differenza tra femmine e maschi come ad una risorsa irrinunciabile, che sta alla radice della gioia dell’incontro con l’altro: maschi e femmine del terzo millennio vorranno ancora sedursi, desiderarsi, sposarsi e procreare, assicurando un futuro umano ad un mondo che sembra glissare verso il postumano.