Uomo di Dio, di pace e di dialogo
Panikkar: una figura che solo il futuro potrà svelare e comprendere pienamente.
Raimon Panikkar ha avuto una vita lunga e complessa, che ha attraversato il XX secolo per aprirsi al nuovo millennio. Di entrambi ha vissuto i momenti cruciali in prima persona, diventando punto di riferimento non solo nell’ambito di teologia e filosofia, ma anche e soprattutto di pluralismo religioso, di dialogo fra culture e fedi. Il suo pensiero si è espresso in una produzione letteraria monumentale, che ora alcuni amici stanno raccogliendo e che ha già visto la pubblicazione di alcuni volumi dell’Opera Omnia per i tipi della Jaca Book.
Panikkar è rimasto per molti un enigma, guardato spesso come un profeta, ma anche, da altri, come qualcuno che ha aperto strade pericolose, che darebbero adito ad atteggiamenti vicini al sincretismo fra le religioni. Ricordo che, qualche giorno dopo la sua morte, parlandone con un amico indiano, vescovo e teologo, raccolsi un commento inquietante, ma anche motivante: «Chissà se lui stesso ha capito quello che ha scritto e detto». Una sintesi efficace, perché capire Panikkar resta ancora una pretesa.
È proprio in questo spirito che Assisi ha accolto un convegno organizzato da Dim (Dialogo interreligioso monastico), Religions for peace, Movimento san Francesco Saverio, associazione Interdependence, rivista Uni-Versum e Comunità di ricerca culture religioni diritti e non-violenza. Panikkar, uomo di Dio, di pace e di dialogo, è stato affrontato da diverse prospettive per coglierne le varie dimensioni di vita e di pensiero: filosofico e teologico, innanzitutto, ma anche, e soprattutto, dialogico, mistico, antropologico e liturgico. Ne è emersa la ricchezza complessa di una figura profetica e non solo, come recita il recente testo del giornalista Rai Raffaele Luise, che l’ha chiamato il “profeta di dopodomani”.
Panikkar, nato da madre catalana cristiana e padre indiano indù, ha vissuto e pensato come ponte fra Occidente e Oriente, fra cristianesimo e altre fedi religiose, cogliendo l’altro non come una minaccia, ma come esperienza di rivelazione. «L’altro – scriveva – è quella dimensione nascosta e sconosciuta che fa parte di me e che io, quando penso in una certa forma, vedo come esterno a me», (Il problema dell’altro, L’altrapagina). Si tratta, quindi, di «comprendere il mio prossimo come egli comprende sé stesso, il che è possibile soltanto se io cesso di conoscerlo come oggetto, per venirlo a conoscere come me stesso» (The Intrareligious dialogue, Paulist Press). Condizione indispensabile è un atteggiamento di fondo, quello dell’ascolto. Ma, ricorda Raimon, «io non posso ascoltare se sono pieno di me, se so cosa l’altro dirà o se lo critico anche nel senso più nobile della parola».
Cosciente delle difficoltà di stabilire un rapporto dialogico fra uomini e donne di culture, fedi e provenienze diverse, che difficilmente possono intendersi, Panikkar amava ricordare quanto un suo omonimo, Raimondo Lullo, un pioniere assoluto del dialogo, aveva affermato già nel Medio Evo, quando la cristianità europea si era trovata ad affrontare l’Islam: «Se non possiamo capirci attraverso il linguaggio, allora lascia che ci capiamo attraverso l’amore» (Pace e interculturalità, una riflessione filosofica, Jaca Book).
Come “profeta del dopodomani” Panikkar interroga la fede, la coscienza e la mente dell’uomo d’oggi, in particolare del cristiano e, fra questi, di quello d’Occidente. Il suo pensiero resta senza dubbio ancora da scoprire e valorizzare, soprattutto nelle sue intuizioni più vitali; in particolare, alla luce della dimensione trinitaria, quella relazionale nei confronti di Dio, dell’uomo e del cosmo.
In uno dei suoi testi più provocanti, L’incontro indispensabile: dialogo delle religioni (Jaca Book), afferma: «Il dialogo inevitabile e indispensabile non è solo un imperativo sociale, un dovere storico; è la consapevolezza che per essere noi stessi, semplicemente per essere, dobbiamo entrare in comunione con la terra sotto, gli uomini al nostro fianco e in alto i cieli». Un appuntamento, quindi non solo epocale, ma cosmico, che siamo chiamati a non perdere fin da subito.