Uomo di dialogo con tutti
Ci sono persone che avremmo da sempre voluto incontrare, qualche volta senza nemmeno sapere il perché. Tuttavia, circostanze varie ce lo hanno impedito. Marcello Zago, missionario, segretario del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, poi superiore generale della Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata ed infine, per soli tre anni, vescovo era, almeno per me, una di queste persone. Ci siamo sfiorati, visti, ma mai incontrati. Mons. Zago, infatti, è morto di leucemia, lasciando in coloro che l’avevano conosciuto una grande ammirazione per quanto aveva fatto in vita, ma soprattutto, un unanime rammarico per quanto avrebbe ancora potuto fare per la Chiesa, gli oblati e coloro che avrebbe incontrato. Recentemente, un’interessante antologia – Marcello Zago, uomo del dialogo – è stata edita da Ancora per merito di Fabio Ciardi, suo compagno all’interno della Congregazione degli Oblati e particolarmente vicino alla prospettiva di comunione che ha caratterizzato tutta la vita di mons. Zago. Uomo del dialogo, dunque: lo confermano tutti quanti lo hanno conosciuto. Mi ha colpito profondamente sentir parlare di lui in Sri Lanka, Paese dove gli Oblati lavorano da quasi centocinquant’anni e dove hanno evangelizzato tutta la parte nord del Paese di etnia e lingua tamil, devastata da più di un ventennio dalla guerra civile. Padre Zago, allora superiore generale della congregazione, si fece promotore e garante del dialogo, fedele alla verità, ma senza mai, mi dicevano vari vescovi locali, dimenticare l’uomo. Affrontò diversi viaggi, trascorse ore in colloquio e riuscì ad assicurare una soluzione, in definitiva positiva, alla controversia, lasciando in tutti, confratelli ed episcopato, un senso di ammirazione e stima indelebile. Uomo del dialogo, a tutti i livelli: non solo nella congregazione, ma nella Chiesa e con persone di altre fedi. Uomo di dialogo con tutti perché sapeva dialogare con Dio, sottolinea Angelo Dal Bello in una frase citata a mo’ di dedica in apertura del libro. Zago aveva con Dio un rapporto profondo, cui doveva tutto nella sua vita, ma lo sapeva tradurre nel quotidiano con le persone che incontrava alle diverse latitudini e nei contesti più svariati. Il primo atteggiamento missionario è quello di amare le persone e i gruppi umani cui si è inviati, con la loro storia e la loro cultura, con i loro valori e anche con i loro difetti. Amare la gente da evangelizzare, infatti, è condividere l’atteggiamento di Dio e del Cristo. Amare significa donarsi per l’altro, lasciando famiglia e cultura, sicurezza e avvenire come si testimonia lasciando il proprio Paese. Questo dono diventa sempre più di frequente sacrificio della propria vita, fino al martirio. Era per lui, dunque, che aveva lasciato tutto e si era fatto missionario. La sua prima esperienza in Laos, Paese buddhista, in cui si trovò a vivere in due periodi della sua vita, fu decisiva. Fu lì, che la generosità e l’eroismo missionario si coniugarono con l’acume dell’intelligenza; non tanto quella della ragione, quanto quella del cuore. Perché la Chiesa è assente nel mondo buddhista? Che cosa si poteva fare per i buddhisti?. Due domande decisive per il giovane missionario. Il tentativo di dare risposta ad esse lo porta sulla via dell’incontro fra evangelizzazione e dialogo, strada profetica nel periodo immediatamente successivo al Concilio. Il dialogo deve aprirci all’altro, renderci trasparenti, lasciandoci interrogare. Personalmente non cerco mai di parlare di me stesso, della mia religione o di fare paragoni con la nostra fede e la nostra pratica. Spesso, dopo un dialogo lungo e profondo è l’interlocutore buddhista che mi pone delle domande sulla mia fede, la mia vita, le mie motivazioni. Rispondo semplicemente: non argomentazione, ma piuttosto testimonianza di ciò che è il Cristo per me. Non ho mai parlato tanto del Cristo come da quando mi sono dato al dialogo. Forse non a caso padre Zago si trovò ad essere segretario del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso proprio nella fase che culminò con la Preghiera di Assisi nell’ottobre del 1986. Già eletto superiore generale della sua congregazione rimase ancora alcuni mesi al segretariato per realizzare quello che qualcuno ha definito il vero capolavoro del pontificato di Giovanni Paolo II. In una lettera alla sua congregazione, scriveva nel dicembre 1986: La missione non si limita all’annuncio e alla costituzione di comunità cristiane. È anche riconoscimento degli altri e dei loro valori. È collaborazione con tutti per il bene dell’uomo. Questa è stata la testimonianza di Marcello Zago: ha collaborato con tutti i cristiani e i fedeli di altre religioni, uomini di Chiesa e gente qualunque, Oblati e amici laotiani buddhisti, per il bene dell’umanità. La radice della sua apertura e pazienza nel dialogo restarono misteriose ai più. Le ritroviamo ora nei suoi diari e nelle sue lettere. È il dialogo con il Padre che non si è mai spento, nemmeno nei momenti più dolorosi della malattia. Leucemia è il verdetto che aspettavo. Domani inizierò la chemio. Che sia fatta la volontà di Dio (12 settembre 2000). Il grande incontro col Signore è richiamato e si avvicina, ora recitare certi salmi acquista un nuovo senso. D’altra parte cerco di fare il mio lavoro nella normalità (13 ottobre 2000). Ed ecco l’ultima preghiera: ancora un dialogo aperto con Dio, ma anche aperto all’uomo e alla storia: Oh Signore Gesù! Vieni quando credi. Fa’ che l’amore per te possa svilupparsi nell’eternità per lodare Dio Trinità. Se credi, sono anche pronto a servire Te, la Chiesa e la Missione.