Uomo d’acciaio dal cuore d’oro

La storia di riscatto di Dennis Ogbe, recordman di lancio del disco, un inno alla vita contro la poliomielite

Ammalarsi di malaria, in Nigeria, una quarantina d’anni fa soprattutto, non era difficile. Come accadde a Dennis Ogbe all’età di tre anni. Si può guarire, come nel suo caso, ma non andò affatto tutto liscio: un’infermiera ruppe un ago nella sua schiena e il piccolo rimase in coma per tre giorni, risvegliandosi con un sistema immunitario a dir poco compromesso. Aveva contratto la poliomielite: sarebbe rimasto definitivamente paralizzato dalla vita in giù. Lo piansero come fosse morto, perché in Nigeria c’era solitamente una sola prospettiva per i menomati: l’abbandono e l’elemosina. «Ma mio padre mi diceva che non avrebbe permesso a uno dei suoi figli di diventare un mendicante – racconta oggi Ogbe –: credeva che l’istruzione e l’educazione sarebbero state la mia salvezza».

Dennis è un bambino fragile ma testardo: i compagni di giochi gli tolgono le stampelle, lo irridono e bollano come storpio, mentre lui frana a terra, incapace di reggersi in piedi. Tanti ma non uno in particolare, che lo incoraggia puntualmente: Masai Uriji, amico vero. In quelle strade polverose, Dennis matura una duplice consapevolezza: non potrà tornare a camminare sulle proprie gambe, ma potrà dimostrare la sua forza, proprio in reazione a quel bullismo. Prima di rialzarsi, deve assaggiare la terra africana a lungo, ma col tempo sviluppa muscoli potenti e riesce addirittura a recuperare in parte l’uso della gamba destra. Il suo reggersi sulle stampelle diventa la sua sfida: vorrebbe giocare a calcio come tutti i compagni, ma accorgendosi di poter praticare solo il lancio del disco e del giavellotto, vede nell’atletica una prospettiva alternativa alla sedia a rotelle. Il sollevamento pesi gli permette di rafforzare gli arti superiori: riesce a lanciare oggetti pesanti a oltre 50 metri di distanza. Un portento, che suona come un accorato inno alla vita, grazie anche a quel padre, Adolphus Adeyi, che non molla: «Credeva che in ogni disabilità ci fosse sempre un’abilità – ricorda – e mi ha dato l’opportunità di scoprire la mia».

In Nigeria, dove si disputano annualmente gare di atletica, Ogbe riesce a eccellere in tutte le competizioni diventando rappresentante del proprio Paese nelle competizioni internazionali, qualificandosi per le Paralimpiadi di Sidney 2000, dove viene notato da un coach statunitense che gli propone una borsa di studio presso la Bellarmine University, a Louisville, nel Kentucky. Il sogno americano significa poter studiare e gareggiare persino con atleti normodotati: Ogbe consegue una laurea e un master Mba, trionfa una gara dopo l’altra, rastrellando medaglie d’oro e d’argento in America e in molteplici competizioni internazionali, fino a consacrarsi recordman di lancio del disco.

Nel 2012 compete ai Giochi paralimpici di Londra con la maglia della nazionale, da cittadino americano: si sarebbe qualificato per competere anche nel 2004 ad Atene e nel 2008 a Pechino, rappresentando gli Usa, ma non era riuscito a ottenere la cittadinanza. Oggi la poliomielite, della quale Ogbe parla non come di una nemica ma come una compagna di viaggio, sta per essere sconfitta grazie ai vaccini: fino a 30 anni fa colpiva oltre 350 mila bambini, ma attualmente il suo bacino si è ristretto soprattutto tra Afghanistan e Pakistan. Ogbe dal 2010 è ambasciatore per la campagna Shot@ Life della Fondazione delle Nazioni Unite finalizzata a promuovere l’immunizzazione: «Ringrazio il cielo di vivere in un Paese evoluto, dove l’accesso ai vaccini è così semplice», ripete spesso, non a caso, non senza conoscerne il prezzo.

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