Uomini che (non) odiano le donne
Unico stigma, se così possiamo dire, è quello di avere un corpo. Femminile. Stiamo parlando della violenza sulle donne, che lungi dall’essere un argomento sbandierato per mero appeal mediatico, è un dato reale. Ogni anno vengono uccise oltre 100 donne dal marito, dal fidanzato o dall’ex. Sembra paradossale parlarne in questi termini, eppure ancora oggi risentiamo come società di una violenza di genere. A mio avviso il punto da cui partire non è quello di sclerotizzare una differenza di genere, che finirebbe per esasperare il fenomeno, quanto quello della cooperazione. La questione infatti, non riguarda né solo le donne vittime né solo gli uomini carnefici, ma ci riguarda tutti come gruppo umano coeso.
Fortunatamente non mancano in tal senso gli esempi di intelligenza e di lungimiranza come quello di “Ferite a morte”, progetto teatrale di Serena Dandini, che nel gennaio di quest’anno ha dato vita ad un libro omonimo. Il lavoro teatrale è un’antologia di monologhi sulla falsariga dell’antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters e si avvale della preziosa collaborazione di Maura Misiti, ricercatrice del Cnr. A questo evento, spostatosi in diverse città italiane quali Bologna, Genova, Milano, Roma, dopo l’esordio a Palermo il 24 novembre scorso, vigilia della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, hanno preso parte donne illustri per sensibilizzare e far riflettere l’opinione pubblica. Come emerge chiaramente dalla portata della questione, non bastano le soluzioni palliative, ma bisogna risalire a monte. Guardare e prevenire le cause, non agire alla meglio sull’irrimediabilità delle conseguenze. C’è ben poco da fare se una donna è stata sfigurata con dell’acido dal suo compagno.
Questo per affermare l’importanza di un cambiamento che sia prima di tutto culturale e di prospettive. Bisogna agire sugli stereotipi culturali figli di un retaggio oltre che anacronistico anche cieco e incapace di guardare oltre il proprio naso. Non si dica poi che le donne la violenza se la cercano, perché girano con una gonna un po’ più corta o con uno scollo più profondo. E no, perché quello significa, ancora una volta, assecondare delle logiche sessiste che quasi giustificano certi comportamenti efferati. Gli uomini e le donne sono prima di tutto persone. In quanto tali non possono soggiacere ad una mera istintualità senza controllo.
Riflettiamo insieme sul background del femminicidio. Molto spesso dietro a questi episodi di disumanità maschile, c’è l’offesa per il sentirsi defraudati “dell’oggetto femminile”. Ed anche l’incapacità di gestire una rottura nel tessuto relazionale di coppia. È da lì dunque che bisogna ripartire. Dalla relazione d’amore. Se da una parte il sogno d’amore, parafrasando Lea Melandri, è il portato più arcaico e significativo per il genere umano, dall’altra è la zona grigia dove si consumano le peggiori nefandezze di uomini che vogliono tenere presso di sé il primo “oggetto” di piacere ed accudimento.
Bisogna dunque modificare la struttura della società, come fatto con le quote rosa nei cda, che fino a pochi anni fa sembravano inutili e irrealizzabili. Chiaro specchio della temperie culturale da cui siamo bagnati. Bisogna scardinare allora le fondamenta marce e consegnare ai nostri figli un mondo dove essere donna sia soltanto esempio di un’alterità del paradigma umano e non uno stigma da violentare.