Un’ostinata bontà

Se la conosci scopri che è semplice, mite e generosa. Come Félicité, il personaggio di Flaubert che interpreta in Un cuore semplice, riscrittura e regia di Luca De Bei dall’omonimo racconto del 1877 di Gustave Flaubert. Ma, nella vita come sulla scena, è anche energica, concreta, forte, Maria Paiato, attrice di razza, comunicativa come poche. Aggiunge un nuovo ritratto al suo repertorio di donne portate in scena negli ultimi anni e iniziato con la sorprendente Maria Zanella, che le è valso il Premio Ubu come migliore attrice, riconfermato quest’anno con Il silenzio dei comunisti, dando voce a Miriam Mafai. Perché la Paiato esce ed entra dal corpo dei suoi personaggi come un’altra da sé: giovane o anziana, razionale o istintiva che sia. E regala loro un cuore pulsante. La sua Félicité ci trasporta dentro un piccolo mondo antico dove l’esistenza della solitaria, ingenua e analfabeta domestica scorre nel lento fluire delle instancabili mansioni quotidiane, dimentica di sé e dedita sempre agli altri. Al punto da fare, di quella ostinata bontà, una ragione di vita. Nel suo raccontarsi in seconda persona e rievocando semplici momenti di una vita vissuta sempre nella stessa casa, scopriamo, infatti, la dedizione verso la padrona che l’ha accolta al suo servizio presso la quale è rimasta per cinquant’anni; constatiamo l’amore per i figli di lei; per un nipote, Victor, che perderà presto; e per un pappagallo, Loulou, per il quale verserà lacrime come per un essere umano. Cerca spiegazioni ai misteri della vita, ne accetta gli eventi, anelando al soprannaturale. Vive intensamente, anche la sua fede genuina, e non tiene conto delle offese o degli inganni. Neanche di quello dell’unico uomo del quale si era innamorata. La scena disegna una soffitta con una vetrata che dà sull’esterno, una poltrona e un letto coperto da una tenda: uno spazio intimo illuminato dal candore di questa donna che viveva sempre di stupore, e forse con un briciolo di follia, di fronte al mistero dell’esistenza e della propria vita. Che si spegne per una malattia, ma senza troppo rumore, come si conviene agli umili di cuore. Giuseppe Distefano Al Piccolo Eliseo di Roma fino al 22 aprile. I RAGAZZI DI SCAMPIA Sono cento i ragazzi coinvolti in Arrevuoto – espressione che traduce il concetto di rivoltare, scuotere dalle fondamenta-, il progetto rivolto ai giovani del quartiere Scampia e del Centro Storico di Napoli, che quest’anno portano in scena Ubu sotto tiro, riscrittura da Alfred Jarry di Marco Martinelli. Dichiara il regista: Ubuè un coro di pulcinelli dei nostri tempi, abituati ai rifiuti tossici e all’immondizia, inguainati in una bianca tuta da disinfestazione, che alla fine del prologo si liberano dal bozzolo e svelano gli abiti multicolori della favola polacca. Dopo l’Auditorium di Scampia, lo spettacolo sarà al Mercadante di Napoli, il 5; al Valle di Roma, il 24 maggio; e al Teatro Alighieri di Ravenna, il 1° giugno. Con Arrevuoto – sottolinea Roberta Carlotto, direttore dello Stabile di Napoli – si è costruito un gruppo molto trasversale, sia sul piano sociale che su quello delle competenze, facendo tesoro proprio della eterogeneità che costituisce la realtà di Napoli. Un metodo di lavoro che può indicare una strada per avvicinare il teatro alla società e viceversa, stabilendo un rapporto con la vita più reale.

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