Uno spettro si aggira per il mondo
In effetti si tratta di un modo di esprimerci che usiamo comunemente. Diciamo con tutta tranquillità, Luigi è italiano, Marta è musicista, Federica è ebrea, Alberto è muratore. Ma la realtà più profonda è un’altra. Luigi è nato in Italia o è cittadino italiano, ma Luigi è Luigi. Marta esercita la professione di musicista, ma Marta è Marta. Così Federica, così Alberto. Federica è Federica, Alberto è Alberto.
Questo piccolo verbo è, preso sul serio, spinge a qualcosa di determinante. A confrontarci con noi stessi. E ciò a volte spaventa. Preferiamo nasconderci dietro a quello che facciamo, il lavoro, la vocazione; quello che ci identifica, l’etnia, la religione, le scelte politiche, sessuali. Tutte cose che a volte spiegano, ma più spesso gettano una cortina di fumo su quello che siamo veramente.
Fino a qualche decennio fa, l’impegno a conoscersi per sviluppare al meglio se stessi e l’ambiente sociale in cui si vive, era un optional, per pochi interessati. Oggi è un imperativo per tutti. Perché? Perché, parafrasando l’incipit del Manifesto del Partito Comunista, oggi «uno spettro si aggira per il mondo». Si chiama Intelligenza Artificiale. Uno spettro che, secondo i punti di vista, è benevolo o malevolo, ma con il quale non possiamo non fare i conti.
Lo storico israeliano Yuval Harari dice: «l’Intelligenza Artificiale non ha raggiunto le sue piene potenzialità, è ancora un baby. Ma gli umani sono nella stessa situazione, non sono vicini alle loro piene potenzialità, sono ancora dei baby». Ora l’Intelligenza Artificiale ha messo in moto una sfida. Lei sicuramente crescerà, non rimarrà a lungo un baby. E noi? Harari sostiene che dobbiamo darci da fare e «a ogni minuto e ogni euro investito in IA dovremo far corrispondere un minuto, un euro investito nello sviluppo della coscienza umana».
Come Sapiens, per governare l’IA e non farci travolgere da essa, dobbiamo crescere al meglio delle nostre possibilità. E per far questo le strade sono sempre due, e vanno percorse entrambe. Una porta dentro di noi. È fatta di silenzio, di riflessione, di misericordiosa accettazione di ciò che siamo. È una strada impervia. Jung diceva: «Ciò che davvero temiamo è quello che potrebbe provenire dalla nostra interiorità».
L’altra, non meno ardua, conduce verso gli altri, per creare un contesto sociale più giusto e armonioso in cui vivere. Tutte e due le strade portano a confrontarci con quel verbo essere. Dobbiamo realizzare ciò che come esseri umani veramente siamo, individualmente e socialmente. O saranno guai. Non possiamo più tergiversare. L’IA ci ha sfidati. O meglio, ci siamo sfidati da soli, dato che l’abbiamo inventata noi. La palla ora è nel nostro campo. «Muoversi su quelle gambette!», incitava un allenatore.
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