Uno “spartito” per la complessità. Intervista al prof. Ugo Morelli
Ugo Morelli è un saggista e psicologo, studioso di scienze cognitive, professore di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università degli Studi di Bergamo. In Cosa significa essere umani? Corpo, cervello e relazione per vivere nel presente (Raffaello Cortina Editore, 2024), ultimo libro scritto con Vittorio Gallese, descrive una rivoluzione della portata di quella copernicana sotto i nostri occhi. Essa coinvolge tutti noi e ridefinisce alla radice cosa siamo come esseri umani. Dal primato del soggetto scopriamo la centralità della relazione. L’Io deriva dal Noi di cui siamo parte. Oltre la centralità della mente riconosciamo di essere un corpo. Ci accorgiamo che non siamo sopra le parti ma parti del tutto nei paesaggi della nostra vita. Pensiero, emozioni, empatia sono strettamente connessi. Da qui deriva la nostra capacità di amarci e di cooperare, ma anche di farci del male, di immaginare e di creare l’inedito. Questo libro ci aiuta a comprendere in profondità la nostra esperienza. È una sorta di vademecum per viandanti planetari quali noi siamo.
Lei, prof. Morelli, ha curato la parola generativa “complessità” in piano B con Becchetti ed altri. Quale contributo può dare il paradigma della complessità nella diffusione dello “spartito” per rigenerare l’Italia?
In primo luogo la promozione di una cultura della complessità del presente. Viviamo in un mondo in cui tutto è più e più volte intrecciato, questo il significato di complessità, e le letture e le soluzioni lineari, causa effetto, che non considerano la pluralità di punti di vista e interessi, non risultano efficaci. Constatare la distruttività di ogni proposta unilaterale basata sulla chiusura, e i costi di ogni muro relazionale e fisico, è il primo passo per generare un mondo inedito, in quanto quello che abbiamo costruito finora è evidentemente fallito.
Perché è importante introdurre un approccio epistemologico non lineare ma complesso per uscire dalla crisi italiana?
Le ragioni non stanno mai da una sola parte e quello che ha reso e rende possibile le scelte migliori che abbiamo fatto è la cooperazione. Cooperazione e conflitto non sono contrari ma sinonimi. Esistono le buone ragioni degli altri e le soluzioni sufficientemente buone nascono dall’approssimazione, cioè dall’avvicinarsi smussando le differenze e facendole dialogare. La democrazia è un “parlamento”, cioè una costante e impegnativa elaborazione del confronto di idee, interessi, valori. La più fragile ma la più preferibile forma di vita.
In che senso l'”incertezza”, la “relazione”, l'”ordine” e l’”autopoiesi” rappresentano finestre di comprensibilità per affrontare un sistema complesso come l’Italia in Europa?
Il progetto europeo vive una crisi profonda e questo è un rammarico durissimo da accettare soprattutto in questo momento storico, dove un’Europa capace di essere sé stessa avrebbe potuto orientare molto diversamente l’ordine delle cose. Proprio per i valori come l’incertezza costitutiva di ogni processo che conti, e per non consegnarsi all’angoscia della certezza che caratterizza i totalitarismi populisti dominanti. Proprio per affermare che siamo esseri relazionali, a livello individuale e collettivo, e senza l’altro non solo non siamo nessuno, ma sterilizziamo l’autopoiesi generativa e produciamo ordini autoreferenziali destinati a implodere su sé stessi.
Nel suo ultimo libro con Vittorio Gallese, “Cosa significa essere umani. Corpo, cervello e relazione per vivere nel presente”, afferma che una rivoluzione copernicana è sotto i nostri occhi. In sintesi, di cosa si tratta per noi, “viandanti planetari”, come lei ci definisce?
Da quando la ricerca scientifica, in particolare con la scoperta dei neuroni specchio fatta a Parma dal gruppo di scienziati del quale Vittorio Gallese è un protagonista, ci fornisce la prova scientifica che la relazione ci precede e viene prima dell’individuazione di ognuna e ognuno di noi; che l’empatia, ovvero sentire con l’altra/o non è una scelta e che siamo intersoggettivamente connessi da una risonanza prima di tutto corporea, noi abbiamo la responsabilità di intraprendere un’altra strada che è il contrario dell’individualismo neoliberista dominante. Diversamente sarebbe come continuare a vivere in base alla convinzione che è il Sole che gira intorno alla Terra. Possiamo finalmente riconoscerci relazionali, e ne abbiamo le prove, o morire terrapiattisti.
Che ruolo possono avere l’esperienza estetica e la bellezza nelle nostre vite?
Se non ci limitiamo a concepire la bellezza solo come l’aspetto esteriore e cosmetico delle cose e di noi stessi, allora possiamo scoprire che non siamo solo quello che sentiamo già di essere, ma possiamo estendere e aumentare le nostre possibilità. Come? Sviluppando e perfezionando la nostra capacità di sentire gli altri e il mondo, la nostra struttura di legame con gli altri e il mondo. Posso dare per scontata una goccia d’acqua. Posso invece commuovermi osservando la sua complessa bellezza e sentire che la mia vita dipende da quella goccia. La bellezza che scaturisce dall’esperienza estetica è allora riconosciuta come l’esito di una risonanza corporea ed emozionale particolarmente riuscita con gli altri e il mondo, tale da estendere la nostra sensibilità e il nostro senso del possibile, in modi e per vie che senza quell’esperienza non si verificherebbero. Questo è uno dei punti cruciali del nostro libro per cercare di rispondere alla domanda: Cosa significa essere umani?
Uno “spartito” per rigenerare l’Italia abitando la complessità
Ugo Morelli è uno degli autori dello “spartito”. Ha curato la parola “Complessità”. Cosa significa “abitare la complessità” per Mauro Ceruti? Uscire dalla crisi cognitiva dell’uomo contemporaneo nel rapporto con la realtà e con sé stesso. Tutto è connesso. Viviamo in un mondo sempre più complesso e paradossalmente agiamo dentro drammatiche disgregazioni. Siamo vittime del paradigma della semplificazione illudendoci dentro confini nazionali, identità irrigidite, separazione delle discipline, vita a sé rispetto alla natura. Sono evidenti tendenze regressive che ci spingono verso catastrofi future. Dobbiamo quindi cambiare paradigma, abitare i tempi della complessità, raccogliere la sfida del XXI secolo, a partire dall’educazione, la cura, il governo.
In questo cambiamento di paradigma si inserisce il manifesto di un gruppo significativo di studiosi impegnati da anni in diversi campi per “rigenerare l’Italia”, chiamato Piano B con 17 parole generative. Non si tratta di un partito ma di uno “spartito” proposto dalla società civile agli attori politici e alle istituzioni per suonare insieme la nuova sinfonia della complessità. È la ricerca di un dialogo alto tra società civile organizzata e mondo della politica su temi complessi per trasformare l’agenda delle istituzioni locali e nazionali. Questo è infatti il momento per invertire la rotta in un mondo che non ci piace tra guerre, cambiamento climatico, gravi disuguaglianze, migrazioni bibliche.
Uscendo dalle semplificazioni di quel che resta dei partiti, occorre introdurre il metodo della complessità anche in politica. Solo in questo modo si riesce a proporre un progetto collettivo alternativo rispetto al modello di sviluppo dominante. Al centro della complessità troviamo la persona con le sue relazioni: il resto dell’umanità, la natura, l’ambiente in cui vive, le altre forme di vita, l’altro e l’infinito. Non più l’individuo dei secoli passati. Prendersi cura della persona significa soddisfare il suo desiderio di senso e di “ben-vivere” dalla nascita alla morte, attraverso casa, educazione, lavoro, welfare comunitario, generatività, sussidiarietà, sostenibilità ambientale e sociale. L’attuale modello di sviluppo, fondato su un pensiero riduzionista, non garantisce felicità pubblica, equilibrio tra una molteplicità di fattori come salute, educazione, qualità della vita relazionale, fioritura umana e ricchezza delle opportunità. Dobbiamo pertanto considerare la complessità degli attori: accanto a Stato e mercato, agiscono imprese, organizzazioni socialmente responsabili e cittadinanza attiva. È un sistema complesso a 4 mani, l’unico in grado di assicurare crescita, vitalità della società civile, vera forza della democrazia mediante la partecipazione per attuare pienamente la Costituzione.
La complessità del presente esige un nuovo paradigma sociale, economico e civile. Solo così potremo rigenerare l’Italia collegando pensiero complesso e buone pratiche già diffuse nel Paese. Un progetto politico ambizioso, quello del Piano B, che mira a far risuonare la sinfonia dell’Italia attiva facendo emergere una visione comune, in grado di incidere sull’opinione pubblica e sulla politica. (L. Becchetti et al., PIANO B. Uno spartito per rigenerare l’Italia, Donzelli 2024, terza di copertina). Questo processo virtuoso tra società civile e istituzioni è già avvenuto introducendo ad esempio la sostenibilità, la tutela delle generazioni future in Costituzione. Ora si tratta di diventare un punto di riferimento aggregante per molti che aiuti ad orientare il cambiamento verso un benessere diffuso, equo e sostenibile.
Uno “spartito” per la complessità
Complessità è una delle parole fondative e generative di Piano B. È l’orientamento epistemologico e conoscitivo alla sua base. Perseveriamo in un approccio lineare, quando sarebbe necessaria e disponibile un’epistemologia della complessità, per riconoscere la nostra circolarità con il sistema vivente e con le forme organizzate della nostra vita. (…) I sistemi viventi sono complessi, sono costituiti non solo da enti, ma da relazioni più e più volte interconnesse tra gli enti, e richiedono un paradigma della complessità per cercare di comprenderne paradigma ed evoluzione (U. Morelli in Piano B, Donzelli 2024, pp.33-34). Dobbiamo pertanto allargare lo sguardo per cercare di capire quanti più nodi possibili del sistema-Italia, negli intrecci che compongono il reale. Il nostro Paese va letto alla luce di alcune finestre di comprensibilità, come periscopi per entrare nella sua complessità. Innanzitutto, l’incertezza. È una caratteristica di tutte le forme di vita nell’evoluzione mediante discontinuità. Il Paese è un sistema vivente ad elevata incertezza e vulnerabilità. Le ipotesi di innovazione e di trasformazione dell’esistente devono partire da questa consapevolezza. Poi abbiamo la relazione. È un campo noi-centrico alla base di ogni serio processo di cambiamento, possibile mediante relazioni cooperative, educative, di cura e di governo. Diventano fondamentali reciprocità, responsabilità, contenimento e uso del potere con spirito di servizio verso il bene comune. L’ordine poi rappresenta la cornice per un’armoniosa trasformazione. È necessario per coordinare e finalizzare la complessità, per superare resistenze, difese di interessi corporativi, opportunismi. infine, l’autopoiesi come capacità generativa di creare sé stessi, di autorganizzarsi, di autoregolarsi come sistema- Paese, di apprendere e di costruire autonomia nella responsabilità.
In conclusione, complessità, piano B e spartito per rigenerare l’Italia si muovono dentro il secolo che dovrebbe essere della fraternità. Il tempo della complessità si presenta infatti come il tempo della fraternità. La pandemia ha mostrato le nostre fragilità e tutto ora appare connesso. Nessuno si salva da solo. Ora deve realizzarsi la fraternità, la promessa mancata della modernità. Attraversando il conflitto sociale, con la mediazione del diritto, la fraternità deve essere il modo di manifestarsi di una nuova umanità. Facciamo parte della stessa comunità nazionale, europea e mondiale. Dobbiamo agire in questo senso. Oggi finalmente la fraternità può diventare universale superando guerre anacronistiche e puramente distruttive.