Uno sguardo sull’oggi

Come valorizzare il contributo della donna nella vita della Chiesa? Riflessioni e proposte nel dialogo tra Giulia Galeotti e Lucetta Scaraffia in La Chiesa delle donne (Città Nuova, 2015).
la Chiesa delle donne_Scaraffia_Galeotti

Giulia Galeotti: Tirando le somme possiamo affermare che il messaggio cristiano è stato rivoluzionario nella definizione del rapporto tra donne e uomini. Eppure, due millenni dopo i dati parlano chiaro. Oggi la Chiesa cattolica è tenuta in piedi dalle donne che, però, non conta­no nulla nelle strutture decisionali. L’istituzione sembrerebbe ten­tare di correre ai ripari: nell’ambito della riforma della Curia, si vocifera di un nuovo sottodicastero per la promozione della donna.

Lucetta Scaraffia: La sola idea di un qualche ufficio per la promozione della donna fa rabbrividire tutte le cattoliche intelligenti e impegnate: tutte la considerano la peggiore idea partorita in proposito negli ultimi decenni. Il messaggio cristiano ha promosso la donna da duemi­la anni, sulla base del suo testo fondativo, i Vangeli, che sono il documento più rivoluzionario e femminista della cultura umana. Non è un caso che questo seme abbia fruttificato nelle società di matrice cristiana, che sono quelle in cui oggi – lo abbiamo detto – le donne godono degli stessi diritti degli uomini, diversamente da quanto avviene nei Paesi di altra cultura. Le religiose e le laiche, le donne credenti, in sostanza, da secoli collaborano alla costru­zione della tradizione cristiana cattolica, trasmettono e insegnano la fede, evangelizzano i popoli che ancora non la conoscono.

 

Una Chiesa che ha riconosciuto, con Paolo VI, l’esistenza di donne “dottore della Chiesa” deve forse ancora promuovere le don­ne? Una Chiesa in cui un documento, la Mulieris Dignitatem, ha onorato il «genio femminile» e ha invocato come assolutamente necessaria per lo sviluppo umano e spirituale la collaborazione fra donne e uomini deve “promuovere” le donne? È veramente offensivo il solo pensarlo. La Chiesa deve solo prendere atto di quante sono e cosa fanno le donne al suo interno, e riconoscere loro quello che meritano. Le gerarchie ecclesiastiche dovrebbero smettere di difendere il loro potere tenendo le donne lontano dal­le occasioni in cui si decide il futuro della cristianità e ascoltare il grande e importante tesoro di esperienze che esse hanno da offri­re. Dovrebbero ricordare che la creazione dell’essere umano ma­schio e femmina “a immagine e somiglianza” di Dio implica che la sua essenza non è solo paterna, né solo patriarcale. Un istituto a promozione della donna getta solo vergogna su chi lo propone, perché fa capire che non sa cosa sia il cristianesimo.

 

Giulia Galeotti: Direi che v’è ben poco da aggiungere! Ci proviamo comunque, e lo facciamo ricorrendo ad alcune tue proposte molto concrete. La pri­ma è quella di un ministero dell’ascolto.

Lucetta Scaraffia: Le donne, più degli uomini, sanno che per dare una risposta occorre prima ascoltare attentamente. Perché lo hanno sempre fatto. Sarebbe giusto riconoscere loro questa capacità e questo impegno in un ministero apposito. Un ministero, per di più, che corrisponde a due importanti opere di misericordia spirituale: consolare gli afflitti, consigliare i dubbiosi. Un ministero che va­lorizzi le donne e produca un nuovo modello di collaborazione nella Chiesa. In questi anni l’incontro è stato difficile, c’è stata tanta diffidenza dovuta a molti motivi, ma le donne sono andate avanti. Le donne parlano, sono entrate nella sfera della liturgia, hanno accesso alle facoltà di Teologia. Se è vero che parte della gerarchia ha ancora una mentalità misogina, è anche vero però che le critiche e le richieste troppo radicali danneggiano forte­mente e impediscono il dialogo. Oggi si può ricominciare parten­do proprio dal modello proposto dalle donne che in questi anni hanno saputo ascoltare, dare, fare conquistando un ruolo senza rivendicarlo, ma con l’azione concreta, con la loro presenza e con il loro impegno. Sono proprio loro che oggi possono chiedere a buon diritto un ministero dell’ascolto.

[…]

 

Giulia Galeotti: Papa Francesco sta suscitando grandissime speranze, ma tante do­mande restano…

Lucetta Scaraffia: Sicuramente esiste una grande discrepanza tra le cose forti e nuo­ve che il papa dice sulle donne e i cambiamenti modestissimi che vengono realizzati. Molti si domandano: «Qual è il reale atteggia­mento di Francesco nei confronti delle donne?». Si può cercare di rispondere prendendo in esame tutte le frasi che il papa ha detto su di loro, nelle occasioni più diverse, e sono tante. Non c’è mai stato infatti un suo discorso compatto sulle donne. Ov­viamente, poi, occorre inserire questo suo atteggiamento nella storia della Chiesa e, in particolare, degli ultimi pontificati. Fran­cesco non pensa che la situazione attuale di emarginazione delle donne possa essere risolta semplicemente dando loro più potere, inserendole nei ruoli decisionali, perché questo sarebbe sempli­cemente un adeguarsi passivamente a quello che già avviene nella società laica. Invece il papa pensa che questa apertura debba av­venire all’interno di una riflessione più profonda, che coinvolga la tradizione della Chiesa, riconoscendo qualcosa che la Chiesa stessa ha dimenticato e cioè che essa è fatta di donne e di uomini, e che le donne sono state considerate da Gesù pari agli uomini. È necessario continuare a insistere molto sulla complementarietà fra donne e uomini. Il clero ha bisogno delle donne per costruire la Chiesa!

 

Giulia Galeotti: Dimostrare quanto le donne già fanno nella Chiesa cattolica è il motivo che ci ha spinte a creare e realizzare «donne chiesa mondo».

Lucetta Scaraffia: Era l’inizio di marzo del 2012 quando – con Ritanna Armeni – partorimmo l’idea di un mensile dedicato alle donne sull’«Osser­vatore Romano». Il direttore, Giovanni Maria Vian, fu entusiasta della proposta e meno di tre mesi dopo, alla fine di maggio, nella Filmoteca vaticana, vi fu la conferenza stampa di presentazione.

 

Giulia Galeotti: Un miracolo di tempi, contenuti e proposte!

Lucetta Scaraffia: È vero! Tutto ebbe origine dalla volontà di Benedetto XVI di valorizzare in ogni modo la presenza femminile nella Chiesa e, in particolare, nel giornale della Santa Sede. Il nostro inserto dedicato alle donne di tutto il mondo, con particolare attenzio­ne al loro rapporto con la Chiesa, vuole informare sulla vita e la condizione femminile senza tralasciare i temi più caldi come la procreazione, l’accesso alla cultura, il rapporto con gli uomini e l’emancipazione. Stiamo per compiere tre anni di vita! Mi piace ricordare inoltre che abbiamo fatto il nostro esordio il 31 maggio, giorno della Visitazione: a nostro avviso, l’icona del rapporto tra donne. Certo, sia nella veste di collaboratori che in quella di letto­ri, anche i maschi partecipano alla nostra rivista, sebbene non in tanti come vorremmo, perché una parte di loro etichetta il gior­nale come “roba da femmine”. Ancor oggi quello della cattolica appannata, sottomessa, che ha rinunciato alla propria libertà è uno stereotipo con cui dobbiamo fare i conti. È ora che alle don­ne – da sempre impegnate nell’attività di assistenza e servizio, ma anche in tutti gli altri campi, compreso quello culturale – venga riconosciuta la giusta importanza.

 

Con un numero dell’inserto, abbiamo affrontato anche il tema – deli­catissimo e cruciale – della violenza.

C’è un dettaglio che è sfuggito ai più. La riflessione di Francesco sulla guerra, fatta sul volo di ritorno dal viaggio in Corea, è par­tita dalla risposta a una domanda sul dramma delle cosiddette “donne di conforto”, le coreane sfruttate dai giapponesi come prostitute. Un problema di violenza contro le donne: mai come in questi ultimi decenni le donne ne sono oggetto. Lo stupro, che ha fatto parte di molti conflitti, nel Novecento sembrava in fase di diminuzione per la diffusione crescente di nuove forme di rispetto nei confronti delle donne grazie al femminismo. Ma se guardiamo agli ultimi decenni, la situazione sembra rovesciarsi: ovunque la forma più frequente di queste situazioni endemiche di conflitto è la violenza sui corpi delle donne come forma di punizione, umiliazione e sottomissione di minoranze religiose o etniche. In Congo, ad esempio, Paese devastato da una guerra interminabile fra clan, la violenza contro le donne è arrivata a punte incredibili: non ci sono quasi famiglie che non l’abbiano sperimentata. In Pakistan le donne appartenenti alle minoranze cristiane e indù corrono quotidianamente il rischio di essere ra­pite, violentate, sposate e convertite a forza da musulmani che poi le trattano come schiave. Nell’indifferenza delle autorità, solo alcune ONG e, soprattutto, solo le congregazioni di missionarie offrono reti di salvataggio per quante riescono a fuggire.

 

Da Lucetta Scaraffia in dialogo con Giulia Galeotti, LA CHIESA DELLE DONNE (Città Nuova, 2015)

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