Uno scultore innamorato della pace

Ci ha lasciati  Antonio Borrelli, cultore della bellezza e della verità che ha cercato attraverso l'arte combattendo la povertà e le ingiustizie. Il presidente della Repubblica, il sindaco di Napoli, amici dei Focolari hanno ricordato la sua feconda produzione artistica e la sua tensione al dialogo e alla ricerca del bene
Antonio Borrelli

Si è spento a Napoli, all’età di 85 anni, lo scultore Antonio Borrelli, da anni pioniere di quel  “dialogo tra persone di fede religiosa  e persone di convinzioni non religiose” promosso da Chiara Lubich attraverso il Movimento dei Focolari.

Lui, di convinzioni non religiose, e sua moglie Diana di fede cattolica  sono stati per tanti  un esempio luminoso e forte di come questo dialogo sia possibile e di quanto esso sia  una risorsa per l’umanità di oggi.

Lavorando accanto a lui per progetti culturali, sociali ed artistici abbiamo potuto apprezzare la sua grande umanità, il suo rispetto profondo  per chi aveva convinzioni diverse dalle sue, ma anche l’amore grande per i poveri, i diseredati, i disoccupati, gli ultimi della società e per i quali non ammetteva scarti.

Nato a Napoli nel 1928, fin da  ragazzo conosce l’apprendistato di orafo e frequenta l’istituto Statale d’Arte, ma a 15 anni è costretto a interrompere gli studi per l’incalzare della guerra. Lo vediamo giovanissimo  in una Napoli sconvolta dal dolore e dalla miseria nella ricerca di un’occupazione. Catturato dall’impegno sociale del PCI si trova coinvolto negli anni 50 nelle storiche agitazioni, conoscendo anche l’esperienza del carcere. Ha intanto completato gli studi e le sue doti di designer gli offrono la possibilità, nel 1955, di lavorare in Cina a Hong-Kong per tre anni.  Segnato interiormente dall’incontro con la cultura cinese avvertirà sempre l’esigenza di sintesi espressiva tra visioni culturali diverse, proiettandosi in ricerche spazio-struttulali nuove. Nel 1959 è di nuovo a Napoli dove lo attende il primo incarico di insegnamento presso l’Istituto d’Arte. Le sue espressioni artistiche si indirizzano sempre più decisamente verso la scultura metallica. Negli anni 70 è stato prima nella Direzione della Federazione Nazionale degli artisti della CGIL e poi nella Segreteria Nazionale della Federazione Nazionale Lavoratori Arti Visive – CGIL  Dal 1978 fino all’età della pensione è stato docente di “Tecnica della fusione” presso l’Accademia delle belle Arti di Napoli. Le sue opere sono sparse per il mondo e la critica è concorde nel riconoscere in Antonio Borrelli uno degli artisti contemporanei più validi.  

«Il dialogo è fondamentale nella vita dell’umanità», ripeteva spesso. «Quando c’è dialogo non c’è conflitto, ma non è facile imparare a dialogare. Sentii questa parola per la prima volta da Togliatti, in anni difficili, quando alla base del PCI c’era risentimento per certe posizioni della Chiesa e per la scomunica. Ciò nonostante, Togliatti lanciò tra i comunisti il dialogo con i cattolici. Fu certamente una scelta di lungimiranza politica. Avrò avuto 18-19 anni e ricordo un grande entusiasmo, un grande desiderio di democrazia. Mi iscrissi al PCI proprio dopo l’attentato a Togliatti. Un’adesione palpitante, nella consapevolezza di contribuire in tal modo al rinnovamento della società, nello spirito di una libertà ritrovata dopo gli anni duri del fascismo»

Fondamentale per lui il valore della famiglia: sia la famiglia di origine e gli insegnamenti lì ricevuti, sia quella che ha costruito con Diana.  Ha amato molti i suoi ed è stato sempre riamato  da tutti. Ricordando l’humus nel quale è cresciuto non temeva di affermare anche in ambito laici e lontani dalla fede religiosa i valori che gli provenivano dall’educazione ricevuta. «Il rapporto che c’era tra noi in famiglia si basava su valori fondamentali quali il lavoro e l’onestà. Una famiglia semplice, popolare, e radicata nella cultura cattolica. Per questo amo definirmi “un cattolico non credente” nel senso che la mia vita è intrisa di quei valori che provengono dal cattolicesimo… Pur avendo vissuto un allontanamento dalla fede, non ho mai voluto spezzare le mie radici storiche e culturali e sono stato sempre propenso al dialogo col mondo cattolico. E quando più tardi attraverso mia moglie Diana, ho sentito che Chiara Lubich cattolica aveva aperto nella chiesa un dialogo con le persone di fede non religiosa e senza alcuna idea di proselitismo ho voluto conoscere questa donna e dare il mio contributo affinché questo dialogo prendesse piede e si diffondesse».

Con lo sguardo attento alle grosse sfide planetarie, metteva al primo posto l’impegno per la pace  tra i singoli e tra i popoli, intervenendo in convegni locali e a livello internazionale dove sottolineava che c’è un rapporto diretto tra il dialogo e la pace. «Un rapporto stretto perché se non c’è il dialogo corriamo il rischio di risolvere i problemi grandi e piccoli con una guerra. Ma ricordiamo che il problema della pace è strettamente connesso con quello economico. Non possiamo continuare a vivere come se non esistessero popoli che muoiono di fame. E’ un discorso che attraversa il mondo intero, e deve coinvolgere grandi e piccoli in maniera nuova. Se vogliamo un mondo in pace dobbiamo fare i conti con la triste realtà di chi non ha come vivere».

Questo discorso sulle povertà estreme, era un intercalare, quasi un ossessione per Antonio, che si riaffacciava di continuo nei suoi discorsi. E se poi qualcuno  giustificava le guerre con la necessità della difesa. Lui dissentiva: «La verità è che siamo ancora imbevuti di cultura imperiale. Prima i romani, poi gli inglesi, poi i francesi, poi gli USA, oggi la Siria …   Per questo dico che dobbiamo trovare insieme – e il dialogo è fondamentale – forme nuove di interventi economici per rispondere alle esigenze di molti popoli della terra, e non andare a versare sui nostri avversari tonnellate e tonnellate di esplosivo…Ripeto: il problema di base è per me la fame nel mondo. Risolto quel problema penso che molte cose, anche a livello terroristico, cambierebbero»

Quando ultimamente gli chiedevamo quale contributo offrire nel quotidiano della mia vita in questo momento storico così difficile e ancora così carico di tensioni, lui con serenità ci invitava a riflettere sul valore delle diversità: «Il primo passo, non facile, è l’accettazione delle diversità. Le diversità nel mondo sono una ricchezza e non un elemento di divisone. Ma bisogna fare ancora molta strada perché questa visione entri nella nostra mentalità e incida sul nostro agire nei rapporti col collega di lavoro, con il povero col medico»

Per il suo impegno artistico ha ricevuto importanti premi, e nel 2009 un  grande riconoscimento della città di Napoli con la pubblicazione dell’importante monografia sulla sua opera curata dal suo collega di Accademia Mario Franco. In quell’occasione gli chiedemmo quale poteva essere il contributo offerto dall’arte  per il dialogo e per la pace. La sua risposta fu lapidaria:«Il linguaggio dell’arte è sempre universale ed è comprensibile da ogni uomo, in ogni cultura. C’è come un legame profondo tra tutti gli artisti della terra, quelli di ieri e quelli di oggi. Il dialogo tra gli artisti può aiutare anche gli altri a capire che si può progettare insieme, pur essendo diversi».

Molti suoi allievi dell’Accademia delle Belle Arti oggi sono persone affermate nel campo artistico. Le loro testimonianze di amicizia e stima hanno un denominatore comune: gli sono riconoscenti per il rapporto vero che ha sempre costruito con ciascuno prima di ogni altra cosa: un rapporto di onestà, trasparenza, piena collaborazione e ricerca comune.

Un ultimo pensiero, da noi conservato come il suo testamento spirituale, ne è una testimonianza diretta e vitale. «Ho sempre sentito che c’era uno stretto rapporto tra quello che realizzavo come artista e la purezza, la sincerità la genuinità. tutte manifestazioni di quel “divino” che è in noi, quel divino che per un credente è l’orma di Dio, e per me quell’energia primordiale che ha dato vita al cosmo, al sistema solare, alle stelle, ad un lago. E tutto questo ho cercato di trasmetterlo con la vita ai miei figli e ai miei allievi, agli amici».

La sera prima della sua morte, malato da circa un mese per un’improvvisa malattia, circondato dalla moglie e dai figli per un brindisi augurale gli è stato chiesto: «Antonio, per cosa brindiamo?» e lui con la semplicità di un bambino: «Brindiamo per la pace».

Toccanti le parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, amico di gioventù di Antonio, che nella commozione per la scomparsa,  ha voluto ricordare alla moglie Diana  i tempi lontani dell’appassionato impegno politico e sindacale, la sensibilità ai temi civili e sociali, la multiforme  attività artistica  che egli ha offerto a Napoli e al Paese. 

L’ultimo saluto  che parenti e amici hanno voluto donargli si è svolto in maniera laica, sulle note del gruppo musicale dei Gipsy King, presso il complesso museale Santa Maria la Nova  sede dell’Associazione “Oltre il Chiostro” alla quale Borrelli ha donato una sua pregevole scultura: il bozzetto di un tabernacolo, posto accanto al suo feretro e significativamente  menzionato da Mena Sardella, responsabile del settore museale del Complesso. Presenti uomini di partito, membri della comunità ecclesiale, parenti e amici, suoi ex studenti e il coro di voci che si levava sommesso e gioioso aveva una nota dominante quella del dialogo e della fraternità, valori che avevano caratterizzato la sua vita.

Infine il messaggio del sindaco di Napoli, De Magistris letto dall’assessore Nino Daniele ha sottolineato la dimensione artistica “di rilievo” e il suo instancabile impegno civile, e rappresentava il più significativo saluto della città di Napoli per uno dei suoi figli che aveva vissuto con geniale sobrietà le sue convinzioni non religiose in una grande apertura e rispetto verso la dimensione religiosa.

Sono risuonate forti in chiusura le parole che Papa Francesco ha scritto ad Eugenio Scalfari sul valore della coscienza,  per le quali Antonio Borrelli, in vita, aveva esultato in maniera speciale: «La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha fede, c’è quando si va contro la propria coscienza. Ascoltare se obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene e come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire».

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