Università italiane, ottimi posti nella Qs University Rankings
A qualcuno di voi, forse, sarà già capitato di leggere titoli del tipo “Le università italiane in vetta alle classifiche degli atenei mondiali”: il riferimento è a uno dei rapporti annuali di Qs University Rankings, agenzia britannica punto di riferimento a livello internazionale per la valutazione di didattica e ricerca.
In realtà, titoli del genere sono parzialmente fuorvianti. Il riferimento non è, infatti, alla classifica generale (che valuta i vari atenei secondo un complesso di indicatori, dal numero di pubblicazioni scientifiche, alla reputazione, alla capacità di attrarre studenti e docenti dall’estero, ecc.): lì infatti a primeggiare sono come di consueto i “colossi” britannici e americani (nell’ordine Mit, Stanford, Harvard, Oxford e Caltech; il primo europeo è, sempre come di consueto, il Politecnico di Zurigo al sesto posto). Lì per trovare la prima italiana dobbiamo arrivare al 149° posto, con il Politecnico di Milano, seguito dalla Sant’Anna di Pisa al 177°, a pari punteggio con l’Alma Mater di Bologna.
Bufala, quindi? No, semplicemente non ci stiamo riferendo alla classifica generale, ma a quella per materia; che valuta cioè i risultati ottenuti dai singoli dipartimenti o facoltà, per un totale di una cinquantina di settori disciplinari. Lì infatti ci sono ben 8 rappresentanze di atenei italiani nella “top ten”, ossia nei primi 10 posti nelle rispettive aree, contro i 6 dello scorso anno. Troviamo infatti il Politecnico di Milano al 6° posto per arte e design, al 7° posto per ingegneria civile e per architettura, e al 9° per ingegneria meccanica; la Bocconi al 7° per economia e management, La Sapienza all’8° per archeologia; e su tutti il 2° posto de La Sapienza per gli Studi Classici e Storia antica, dietro a Oxford – aggiungiamo peraltro che all’8° posto della stessa categoria c’è la Normale di Pisa.
Allargando lo sguardo ai primi cento posti, sono numerose le università italiane che riescono a distinguersi a livello mondiale: in particolare Bologna, con ben 21 discipline, di cui 4 entro i primi 50 posti (Storia classica e antica al 19° posto; Lingue Moderne al 39° posto; Agraria al 39° posto e Odontoiatria al 40° posto). Risultati che, globalmente, pongono l’Italia al 5° posto in Europa in questa classifica, dietro a Francia, Paesi Bassi, Germania e Svizzera; e addirittura al 2°, dietro alla Francia, per apprezzamento dei laureati da parte dei datori di lavoro – con triste nota sulla fuga dei cervelli, dato i tristi dati che ciclicamente ritornano su come i nostri giovani più istruiti trovino sì lavoro, ma all’estero.
A questo quadro positivo fa però da contraltare, secondo l’agenzia inglese, il deciso peggioramento dei programmi universitari (ossia dei percorsi di studio): su 431 programmi che la ricerca ha classificato, ben 86 quest’anno sono scesi nella classifica, mentre il resto d’Europa si è mantenuto stabile. Un aspetto che va di pari passo, secondo lo studio, con la ristrettezza delle risorse a disposizione dei ricercatori: la spesa media in Italia per la ricerca è intorno all’1,35% contro una media europea del 2,07%. Molto bassa, quindi, rispetto anche al target del 3% fissato per il 2020 dall’Unione Europea.
Università italiane dunque che avrebbero le potenzialità per primeggiare anche nel complesso; ma che, in regime di risorse limitate, riescono a farlo solo in alcuni settori.