Università, corsi gratuiti

No, non significa che la frequenza non si paga. Ma che non viene pagato chi tiene le lezioni.
studenti

Sembra uno scherzo da primo aprile. E invece è una realtà che possiede tutti i connotati del grottesco. «Si rende noto che la Facoltà, per sopperire a particolari e motivate esigenze dei collegi didattici di seguito elencati, constatata la mancanza di sufficienti competenze specifiche interne, ha deliberato di dare mandato al preside affinché provveda alla pubblicazione del bando per il conferimento dei seguenti incarichi di insegnamento per l’anno accademico 2010/2011: Istituzioni di fisica, 36 ore, retribuzione lorda: gratuito. Istituzioni di matematica, 36 ore, retribuzione lorda: gratuito. Lingue e letterature angloamericane II specialistico, 36 ore, retribuzione lorda: gratuito». È quello che capita di leggere nella bacheca una delle tante facoltà italiane, che per sopperire alla mancanza di docenti – complice il blocco delle assunzioni, inizialmente previsto fino al 2012 e prorogato fino al 2014 dal disegno di legge Gelmini – si trovano costrette ad affidare oltre un terzo della didattica ai ricercatori, e più o meno altrettanto a figure esterne – perlopiù professionisti o dottori di ricerca. Per legge non potrebbero essere “esternalizzati” più del 20 per cento dei crediti, ma c’è tempo fino al 2012 per adeguarsi: per cui, pur di far partire i corsi, si parte in deroga.

 

Già, ma logica vuole che chi lavora venga pagato. E allora perché vengono banditi dei posti di “volontariato”? La spiegazione è, ahimé, la più semplice, almeno a sentire chi a questi bandi partecipa: non ci sono i soldi. E allora perché accettare l’incarico? Risposta: perché molto spesso, soprattutto per giovani dottori di ricerca, è l’unico modo per iniziare ad entrare nel mondo della docenza, ed aggiungere al proprio curriculum un’esperienza che, non si sa mai, potrà tornare utile per incarichi futuri, per quanto – come recita il punto c dell’art. 2 del bando – «l’attività svolta non dà luogo a diritti in ordine all’accesso nei ruoli delle Università», e non si possa dunque tradurre in alcun posto fisso.

 

Per carità, non facciamo di tutta l’erba un fascio: lo stesso bando prevede anche incarichi a retribuzione lorda di 2400 euro. Ma tenendo conto che questo è rivolto a figure che abbiano una consolidata esperienza nel settore in cui andranno ad insegnare – in alcuni casi anche in ambito internazionale – oltre a titoli di studio di tutto rispetto, il quadro è tutt’altro che roseo. E si integra perfettamente con la tanto dibattuta questione dei 25 mila ricercatori che, a titolo gratuito, garantiscono attualmente il 42 per cento della didattica: se, come hanno annunciato, da ottobre inizieranno a rifiutarsi di farlo in quanto non previsto dal loro contratto, è facile intuire che molti corsi non partiranno. Se al 42 per cento di questi corsi aggiungiamo il 20 – nell’ipotesi in cui non si sfori il tetto stabilito per legge – affidato ad esterni, otteniamo il 62 per cento degli insegnamenti tenuto da figure al di fuori dei docenti ordinari o associati: legittimo, quindi, chiedersi che genere di formazione si voglia offrire agli studenti. Oltre a ringraziare chi, per quanto spinto da possibili ricadute positive sul proprio futuro, fa “volontariato”.

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