Università e concorsi truccati. Non solo a Firenze
«Non è che tu non sei idoneo, è che non rientri nel patto del mutuando». La frase, pronunciata da un noto professore tributarista di Firenze, Pasquale Russo, viene registrata da un giovane ricercatore universitario insieme al resto del colloquio. Viene spiegata dallo stesso Russo in questi termini: «A ogni richiesta di un commissario corrispondono tre richieste provenienti dagli altri commissari: io ti chiedo Luigi e allora tu mi dai Nicola e tu mi dai Saverio. Non è che si dice è bravo o non è bravo…».
Dopo quattro anni di indagini dalla denuncia di Philip Larome Jezzi, il giovane ricercatore, scatta l’operazione “Chiamata alle armi” della Guardia di Finanza che ha portato all’arresto di 7 docenti tributaristi dell’Università di Firenze e a 59 docenti indagati di diversi atenei italiani, da Milano a Palermo, Roma, Bologna, Venezia, Napoli, Siena, Varese, Foggia, Cassino.
L’ordinanza firmata dal gip Angelo Antonio Pezzuti, sulla scorta dell’inchiesta del procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo e i pm Luca Turco e Paolo Barlucchi, ricostruisce un sistema consolidato su tutto il territorio nazionale, una rete molto fitta costituita da illustri professori universitari, tessuta da rapporti di clientela, connivenze e corruzione. Non ha attenuanti il fatto che molti di questi professori sono componenti di diverse commissioni nazionali. Il rapporto della Guardia di Finanza ha denunciato infatti la presenza di «sistematici accordi corruttivi tra numerosi professori di diritto tributario – alcuni dei quali pubblici ufficiali in quanto componenti di diverse Commissioni nazionali (nominate dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) per le procedure di Abilitazione Scientifica Nazionale all’insegnamento nel settore scientifico diritto tributario – finalizzati a rilasciare le citate abilitazioni secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori, con valutazioni non basate su criteri meritocratici bensì orientate a soddisfare interessi personali, professionali o associativi»”.
La storia inizia quando Philip Larome Jezzi viene convocato dal professore Pasquale Russo che lo invita a ritirare la domanda di abilitazione a professore associato e ordinario per il concorso nazionale. Gli viene anche promesso un favore in cambio del ritiro della domanda e dall’astensione di qualsiasi ricorso. Registrato il colloquio, Larome Jezzi va avanti, presenta la domanda, viene bocciato, presenta ricorso al Tar e lo vince.
Viene riconvocato una seconda volta da Russo, in presenza di un commissario del concorso, nel 2014, colloquio, che viene nuovamente registrato e consegnato alla Guardia di Finanza. Molto inquietanti anche le intercettazioni rilevate dalle Fiamme Gialle nei confronti di altri componenti delle Commissioni nazionali, dalle quali si evince un forte radicamento della prassi corruttiva consolidata nelle Università.
Il sistema di corruzione, anche in tanti altri campi, come più volte ha ripetuto Papa Francesco, è un cancro che uccide l’uomo e la società, la peggiore piaga sociale, all’origine dello sfruttamento dell’uomo. Non bisogna essere «timidi o irrilevanti nello sconfessare e sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata, che ha impoverito le persone, soprattutto i giovani e i più fragili», ha affermato il papa.
Sui social già spopola l’hashtag #JeSuisPhilip con molti commenti positivi e di incoraggiamento a coloro che continuano la loro battaglia per la legalità. Un grazie quindi al coraggio di questo ricercatore e speriamo che un altro sistema, quello delle denunce del malaffare, possa diventare prassi. Ne vale il futuro del nostro Paese.