Uniti contro la tratta degli esseri umani
La tratta degli esseri umani è un crimine terribile, che comporta il trasferimento dal luogo di residenza e lo sfruttamento sessuale e lavorativo o l’asservimento soprattutto di donne e bambini, che vengono sottoposti ad infinite crudeltà, violenze, inganni ed abusi. È un fenomeno straziante, come lo ha definito il giornalista e scrittore Luca Attanasio, da cui è difficile far emergere il volto umano delle vittime, soprattutto quando prevale una narrativa sociale barbarica e strumentalizzante.
Eppure, come ha affermato Luca Di Sciullo, presidente di Idos, Immigrazione dossier statistico, è l’accoglienza che ci qualifica come esseri umani. Viviamo dell’accoglienza che è stata data a noi da chi ci ha messo al mondo, ma anche di quella che diamo agli altri. Ecco perché occorre rieducare i razzisti a recuperare la statura umana persa credendo di essere superiori ad altri esseri umani.
E il volto umano di tre donne – Joy, di 28 anni, Rita, di 36 anni, e Isoke, di 40 – e il valore dell’accoglienza sono emersi con forza da Sue, il docufilm realizzato dalla regista Elisabetta Larosa, presentato nella sala Laudato Sì’ del Campidoglio, prodotto e distribuito da Movie Factory di Francesco Paolo Montini.
Nella Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebra il 29 settembre, l’assessora alle Politiche sociali e alla Salute del Comune di Roma, Barbara Funari, ha voluto porre l’attenzione sulle vittime della tratta, con l’impegno ad attivarsi al meglio per stare vicini a queste donne schiavizzate e sfruttate, arrivate nel nostro Paese spesso dopo viaggi estenuanti, che hanno fatto diventare il Mar Mediterraneo un enorme cimitero.
Nel docufilm Sue, le protagoniste sono appunto tre donne arrivate con l’inganno in Italia, dove si sono trovate indebitate per il viaggio effettuato chi tra gli stenti di una traversata fatta di violenze e angosce e chi in aereo. Al loro arrivo, invece di una vita migliore, l’amarissima sorpresa: un “lavoro” sulla strada.
“Mi sembrava impossibile – spiega Isoke nel docufilm – e invece era possibilissimo”.
Dopo infinite violenze, sono per fortuna riuscite a “rigenersarsi a nuova vita“, come suor Maria Rosa Venturelli, religiosa comboniana, ha definito il percorso di liberazione “di queste sorelle che hanno deciso di non piegarsi ulteriormente sotto i piedi degli sfruttatori. Da sole hanno ritrovato con coraggio la libertà e la propria dignità di persone”.
Il docufilm, della durata di 62 minuti, ripercorre la quotidianità di queste donne, raccontando le loro storie alternando musiche avvolgenti alle loro voci e a lunghi silenzi che – ha aggiunto suor Venturelli – diventano, per chi guarda Sue, spazi di contemplazione per riflettere. Le vittime delle violenze, ha spiegato Alessandra Brussato, funzionaria assistente sociale del Dipartimento Politiche sociali e Salute del Comune, impiegano anni per dimenticare gli orrori vissuti e forse non ci riescono mai. Brussato le ha paragonate alla Rosa di Gerico, una pianta che per alcuni conserva il segreto dell’immortalità, ma che è anche un simbolo di rinascita. Quando non ha acqua, si chiude a riccio e rotola nella sabbia del deserto come se fosse morta. Eppure, appena trova di che nutrirsi, rinasce e si schiude, tornando alla vita, come si spera possano fare anche le vittime della tratta.
Per loro, ha sottolineato l’assessora Funari, è attivo il progetto Roxanne, che in questa nuova edizione accoglie anche persone transgender e che, grazie all’utilizzo di un appartamento confiscato alle mafie, consentirà l’accoglienza di un maggior numero di persone.
La produzione del docufilm è stata travagliata: come ha spiegato la regista Larosa, la tratta è un argomento scottante, difficile da commercializzare. Intenso anche il rapporto tra l’autrice e le tre protagoniste del docufilm, che hanno acconsentito a parlare dei tormentati anni vissuti da quando hanno lasciato la loro terra, di cui vorrebbero tornare a sentire l’odore, fino a quando sono riuscite a scappare dalla strada e a liberarsi dalla spirale di violenza e di disumanità in cui si sono ritrovate.
Le testimonianze di Joy, Rita e Isoke sono anche un appello affinché si ponga fine a questo crimine. Non possiamo dimenticare i lager libici in cui tante persone vivono tra le violenze per mesi, le traversate della morte, la difficoltà di sfuggire ai torturatori anche per colpa di leggi, quelle italiane, che non sempre proteggono come dovrebbero chi denuncia i propri aguzzini. Occorre poi cambiare noi stessi per mettere fine al sangue che, come ha detto suor Venturelli, viene versato di notte sulle nostre strade. “Bisogna fermare la domanda di sesso a pagamento. Le relazioni intime tra un uomo e una donna dovrebbero avvenire alla pari, non a pagamento.
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