«Uniti contro chi ci vuole divisi»
Da un territorio di frontiera nascono riflessioni e analisi che merita riportare come un contributo da approfondire. Ad esempio è significativo ciò che scrive Giorgio Pagano ex sindaco di La Spezia sul “Quotidiano on line di Spezia e provincia” in un articolo dal titolo “Riflessioni sulla diversità”: «Se pensiamo che i diritti umani siano alla base della nostra civiltà non possiamo erigere muri, chiudere porti, respingere gente che avrebbe diritto all’asilo, finanziare guerre e vendere armi a tutti. Ritorna il tema della “diversità”.
La cultura oggi egemone annienta e riduce ogni alterità rispetto all’io, ogni “diversità”. È una cultura che nega il principio di umanità. È un nuovo egoismo che sgretola le culture dell’umanesimo: la solidarietà cristiana, la fraternità socialista, il buon senso compassionevole del liberalismo».
Secondo Pagano «bisogna tornare a essere “partigiani di umanità”. Tutti possiamo fare qualcosa. La paura del “diverso” fa parte della natura dell’uomo e delle società, da sempre. Oggi, anche perché è incentivata dagli “imprenditori politici della paura”, è molto diffusa in tutto il mondo. Facciamo un esempio che riguarda il nostro Paese: da noi gli immigrati sono il 7%, ma il 70% degli italiani crede siano circa il quadruplo (il 25%), come ha rivelato la recente ricerca dell’Istituto Cattaneo “Immigrazione in Italia: tra realtà e percezione».
L’ex sindaco di La Spezia offre, così, un suo contributo, da filosofo e intellettuale di sinistra, al dibattito che in questi mesi interessa il nostro Paese e l’Europa tutta. E precisa che il Governo italiano ha ragione a chiedere un vero impegno europeo. «Ma chiederlo partendo da un punto di vista sovranista o nazionalista che dir si voglia non solo non è giusto ma non è nemmeno sostenibile. Non porta cioè da nessuna parte: basti pensare al fatto che i sovranisti-nazionalisti italiani, tedeschi e austriaci, alleati tra loro in Europa, passano il tempo a minacciarsi reciprocamente il blocco delle frontiere terrestri e aeree!».
Dall’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, infatti, si è saputo che a giugno ci sono stati dieci naufragi con 557 vittime, quasi un terzo di tutte quelle del primo semestre dell’anno, che hanno superato quota 1400.
Uno su sette dei migranti che hanno tentato la traversata del Mediterraneo non ce l’ha fatta, una percentuale altissima considerato che a giugno del 2017 il rapporto era uno su 38 e che la diminuzione dei flussi nel 2018 ha toccato l’80%.
Intanto domenica 21 ottobre, attorno allo slogan «Uniti contro chi ci vuole divisi», hanno marciato in corteo a Genova oltre un migliaio di persone di ogni colore e razza con tanta musica e cartelli, bandiere, striscioni. Un corteo organizzato da immigrati di seconda generazione, persone nate in Italia di ogni età ed estrazione sociale: «Abbiamo deciso di scendere in piazza visto il crescendo di episodi di intolleranza e aggressioni razziste – ha detto Ridvan Antonios del Clici – Questo è un primo passo, da qui in poi vogliamo autorappresentarci, perché è evidente che la delega non ha funzionato».
Hanno aderito una settantina di associazioni, con tanti cartelli recanti slogan come “Ribellarsi, tornare al bello”, “Non siamo bersagli facili” e “Uniti contro chi ci vuole divisi”, oltre a molte frasi di Nelson Mandela e a un grande striscione per esprimere “Solidarietà a Mimmo Lucano”, il sindaco di Riace.
E ancora «Preparatevi a un inverno… “africano”». Le voci raccolte dicono «Siamo stanchi di pagare le tasse senza rappresentanza, stanchi di venire guardati come qualcuno cui l’Italia regala qualcosa: non siamo accattoni né parassiti, noi e i nostri figli pagheremo il welfare di questo paese».
Mohamed studente di filosofia all’università di Genova, nato e residente in Italia, che marcia accanto a me mi cita quello che secondo lui è il male che colpisce oggi la civiltà europea. È racchiuso in una frase tratta dal libro “Stranieri alle porte” di Zygmunt Bauman che dice così: «Abbiamo eletto gli stranieri a causa di tutti i nostri mali. In realtà il nostro senso crescente di precarietà e paura dipende dalla incapacità di governare l’enorme forza dei processi di globalizzazione».