Unità di pensiero
Fra noi cristiani dobbiamo attuare l’amore che va e l’amore che torna: l’amore reciproco. Però in modo nuovo, con il “di più” che esige la nostra spiritualità comunitaria. “Di più” di come è richiesto da altre bellissime spiritualità più individuali. Per esse l’amore reciproco significa volersi bene in Cristo, non giudicarsi, servire l’altro, prevenirsi nel rendersi onore, mostrare l’amore con le opere, ecc. “Di più” perché quel “come” del Comandamento nuovo va da noi interpretato e vissuto in un modo particolare, e cioè secondo il modello di Gesù abbandonato. Quel “come” che, se così vissuto, genera l’unità. In Gesù abbandonato quel “come” significa non solo la prontezza – se ci fosse richiesta – a dare la vita l’uno per l’altro, ma il totale quotidiano morire di fronte ai fratelli, in uno spogliamento esteriore ed interiore, dalle cose materiali a quelle spirituali. Esso comprende, fra quelle spirituali, anche il distacco dal nostro pensare. L'”altissima povertà di mente”, direbbe san Francesco. Distacco che permette di capire fino in fondo il pensiero del fratello e che esige il donare con generosità e garbo il nostro pensiero al fratello. Distacco che genera l’unità di pensiero. A noi, come ai primi cristiani, quest’unità di pensiero è richiesta. Diceva san Paolo: “Vi esorto pertanto, fratelli, (…) ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero…” (1 Cor 1, 10). Ha una misura, quindi, il nostro reciproco amore, un “come” che genera non solo amicizia pur soprannaturale, o concordia, ma unità, sull’esemplo di Gesù che nel e per il suo grido d’abbandono, vertice della sua Passione, ricompose l’unità degli uomini con Dio e fra loro. E allora? Allora viviamo con tutti e fra noi il Comandamento nuovo, puntando sul realizzare sempre l’unità di pensiero. Se io comprenderò bene l’altro (e ciò lo otterrò mettendomi vuoto di fronte a lui) ed egli capirà bene me, la sintesi sarà presto fatta e sarà il pensiero di Gesù fra noi. Questa è comunione vera ed utilissima, che ci fa progredire spiritualmente e fa avanzare l’opera che ci è affidata. Essa sarà guidata in tal modo non da “noi”, dal nostro misero “noi”, ma da Gesù fra noi. Da: Santità di popolo, Città Nuova, pp. 76-78.