Unioni civili. Una conquista di civiltà?

Siamo giunti, alla fine, all’approvazione al Senato della ormai famosa Legge Cirinnà che riconosce il valore civile delle unioni di fatto eterosessuali ma, soprattutto di quelle omosessuali. La prima volta dell’Italia
Matteo Renzi e Bruno Vespa a Porta a Porta

«Dopo tre anni di lavoro siamo arrivati a un risultato importante. Un momento storico del percorso dei diritti in Italia: passiamo dal diritto di famiglia al diritto delle famiglie. Da oggi cambierà la vita di molte persone. Questa legge contiene l'equiparazione di tutti i diritti sociali dei coniugati eterosessuali sposati alle coppie dello stesso sesso che formano un'unione civile. Da oltre 30 anni il nostro Paese aspettava di fare questo passo e finalmente entriamo in Europa con un nuovo istituto giuridico che estende anche diritti sociali importanti a chi non li aveva».

 

È con questo annuncio trionfalistico che si apre un articolo dell’on. Cirinnà pubblicato sulla newsletter dei Senatori del Pd e che fa riferimento all’approvazione, anche al Senato, della Legge sul riconoscimento delle unioni civili etero e omosessuali. Si dice che l’Italia era l’ultimo dei grandi Paesi occidentali a non avere ancora una legge che riconoscesse questo diritto e questa approvazione colma un vuoto riposizionando l’Italia tra i Paesi “civili”.

 

Ma cosa definisce davvero il livello di civiltà di un Paese? Davvero solo il riconoscimento dell’autodeterminazione del singolo e delle sue scelte che lo Stato deve solo ratificare?

 

La legge vede la luce dal ddl dal titolo “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” ed è stata approvata con 372 Si, 51 No e 99 Astenuti. Lascia perplessi l’iter dell’approvazione che, come afferma il costituzionalista Mirabelli in un’intervista al quotidiano Avvenire, «è stato un percorso forzoso e inappropriato. Un’occasione persa per arrivare a una soluzione idonea e condivisa. Il maxi-emendamento del governo ha precluso la discussione, poi c’è stata la doppia fiducia al Senato e alla Camera. Il primo aspetto pone anche forti dubbi di legittimità costituzionale, in quanto le leggi vanno votate articolo per articolo prima del voto finale, proprio per consentire al Parlamento di poter intervenire. Addirittura sono stati messi assieme due istituti diversi, le unioni civili e le convivenze di fatto».

 

Anche questo è segno di civiltà?

 

In fondo un’occasione persa per poter discutere un argomento così importante che ha riflessi immediati sulla vita concreta delle persone.

 

Riguardo il merito della legge, non ci sono grosse novità: la disciplina non fa riferimento all’articolato costituzionale relativo al matrimonio, ma all’art. 2 della Costituzione che assicura l’uguaglianza di tutti i cittadini sia singoli che nelle “formazioni sociali” e all’art. 3 che riconosce uguaglianza di tutti gli uomini senza distinzione di razza, sesso ecc.

 

Da oggi in poi, due persone maggiorenni potranno recarsi da un ufficiale di stato civile ed esprimere la propria intenzione di stabilire una unione civile che verrà registrata negli Archivi dello Stato Civile; i due potranno scegliere un unico cognome, mantenere il proprio o decidere di usarli tutti e due. Ad essi si riconoscono tutti quei diritti (di concorrere al bene materiale e morale del partner, di visita in ospedale o in carcere, di successione nell’asse ereditario, di reversibilità pensionistica, di diritto di subentro nel contratto di affitto) già previsti per gli sposati e il comma 20 richiama una disciplina equivalente al matrimonio; si dichiara, infatti, che “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio” in tutte le altre leggi, e quelle che contengono le parole “coniuge” e “coniugi”, saranno automaticamente applicate anche a coloro che si uniscono civilmente.

 

Riguardo la genitorialità, non si parla esplicitamente di possibilità di adottare, ma si afferma che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti», per lasciare uno spazio alla regolamentazione della presenza di eventuali figli nella coppia.

 

Le reazioni, come è abbastanza normale in questi casi, sono molto energiche e di segno opposto: così l‘ on. Cirinnà e l’on. Boschi festeggiano per la vittoria storica, mentre i parlamentari del centro destra annunciano una raccolta firme per promuovere un referendum abrogativo. Non è mancata neanche la senatrice Marzano che ha deciso di dimettersi dal suo partito, il PD, perché non è riuscita ad ottenere la piena equiparazione del matrimonio omosessuale e l’apertura alle adozioni.

 

Su tutte però sono da segnalare le reazioni del presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha scelto la platea televisiva di Porta a Porta per rivendicare l’importante risultato e affermare con forza il suo impegno per i diritti civili, la sua laicità e indipendenza da qualunque appartenenza, anche dalla Chiesa cattolica. Ha destato scalpore, infatti, la sua dichiarazione: «Ho giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo».

 

Giurare sulla Costituzione è dovuto per tutti i rappresentanti delle Istituzioni, ma giurare da solo non basta, occorre declinare nell’agire politico quotidiano quei principi che la legge fondamentale dello Stato stabilisce: cosa dire, ad esempio, della situazione dei malati non autosufficienti, ai quali negli ultimi anni sono stati tagliati drasticamente i fondi per i servizi riabilitativi (diventati un lusso che pochi possono permettersi), lasciando i malati stessi e le loro famiglie ancora più soli? E  delle condizioni di estrema povertà di un numero crescente di minori che, anche nella civilissima Italia, fanno fatica ad avere un alimentazione adeguata al loro sviluppo? Come corrisponde alla Costituzione lo smantellamento della Sanità pubblica con tutte le inadempienze e le imperizie e le ingiustizie, ampiamente documentate dai media?

E come rispettano la Carta costituzionale le continue attività di coartazione del dibattito parlamentare?

Riguardo poi all’adesione al Vangelo, per un cristiano non è dovuto giurare su di esso, ma piuttosto averlo come l’orizzonte della propria azione e l’orientamento di tutto il suo agire.

 

Mi riconosco completamente nelle parole del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, quando afferma: «Il premier dovrebbe sapere che sul Vangelo non si giura, ma lo si vive. E che la Costituzione non assolve dagli errori, anzi li sottolinea».

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