Unione europea senza politica di pace, critiche dalla società civile

Sempre più esplicita la critica verso la Ue sulla crisi della guerra in Ucraina. La presa di posizione dell’arcivescovo di Palermo Lorefice e del presidente della Cei cardinal Zuppi. Manfredonia delle Acli parla di un muro eretto dalla politica verso la società civile. Manifestazioni per la pace in tutta Italia mentre una solida maggioranza parlamentare sostiene la fornitura di armi in Ucraina. Il ministro della Difesa indica nuovi fronti di guerre nel mondo che richiedono l’impegno del nostro Paese
Unione europea e politica di pace. Manifestazione a Scampia, Napoli. Foto Rete per la pace Scampia

«Al primo governo italiano guidato da un ex comunista (Massimo D’Alema, ndr) fu chiesta nel 1999 la prova del fuoco di sostenere la guerra nella ex Jugoslavia, oggi ad un esecutivo di destra ex missina è altamente probabile che venga chiesto di mettere gli scarponi sul terreno» e cioè di intervenire militarmente sul teatro di guerra in corso nel centro d’Europa e non solo.

Il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, non usa mezzi termini nel rispondere in tal modo ad un’intervista video sul clima sempre più bellicista che accompagna la narrazione della guerra in Ucraina.

Ormai siamo alla viglia dello scontro decisivo che tutti si aspettano su quel fronte con la fine dell’inverno, quando, per entrambe le parti, saranno arrivate armi sempre più potenti assieme ai nuovi coscritti, consiglieri militari e truppe mercenarie.

Foto LaPresse

Non c’è molto tempo per evitare l’inevitabile escalation se si lasciano senza freni a confrontarsi due vertici politici convinti di poter ottenere la vittoria sul campo. Una pretesa, quella della vittoria, che chi è esperto di cose militari esclude in ogni modo – come ha detto esplicitamente l’ammiraglio Cavo Dragone, capo di stato maggiore della Difesa, in diverse recenti interviste: «Sono sempre dell’idea che una soluzione militare non si possa trovare. Né gli uni, i russi, riusciranno mai a disarcionare la leadership ucraina, né gli ucraini potranno riuscire a riconquistare tutti i territori che sono stati invasi dalla Russia. Questo è un dato che rimane costante nel tempo. Sicuramente non possiamo permetterci un altro conflitto “congelato” nel cuore dell’Europa».

Di fronte al precipitare degli eventi non si può dire neanche che tutte le diffuse manifestazioni per la pace si siano limitate a ripetere istanze generiche e innocue, perché è emerso dalla società civile un tratto che la politica prevalente neanche intende sfiorare: e cioè la carenza della posizione dei vertici Ue a intraprendere una serie iniziativa di pace invece di limitarsi ad allinearsi con le dichiarazioni del segretario della Nato Jens Stoltenberg.

Foto Alberto Lo Bianco LaPresse Palermo

Il più esplicito è stato l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice; che, rivolgendosi ai manifestanti di Europe for peace, ha detto «Ieri (23 febbraio, ndr) a Palermo sono stati ospiti alcuni rappresentanti dell’Unione europea che non hanno mai pronunciato la parola “Pace”, la presidente Ursula von der Leyen non è riuscita a pronunciare il termine “Pace”, dobbiamo dirlo». Una dura reprimenda accompagnata dalla richiesta «a chi ha responsabilità politiche di essere ricondotti a un’Europa che ha, nella ricerca della pace, il suo obiettivo. Una pace da costruire con il dialogo e gli strumenti che possediamo e non fornendo armi».

Un delusione esplicita verso il Parlamento europeo è stata invece espressa dal cardinal Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani, nella lectio magistralis che ha tenuto il 21 febbraio all’università di Roma Tre, alla presenza anche della ministra Bernini: «mi ha colpito con preoccupazione – ha detto Zuppi – come al Parlamento Europeo una Risoluzione che sollecitava l’apertura di un negoziato sia stata rigettata da 470 voti su 630. Mi è sembrato come un segnale della rinuncia della politica e la negazione di una pace che non sia solo la vittoria di una parte».

Il presidente della Cei ha colto come un segnale inquietante il fatto che «un premier europeo, nella luterana Danimarca, intende abolire il plurisecolare “Grande giorno della preghiera” – che esiste dal 1686 – per potere incrementare il budget per gli armamenti con un giorno di lavoro in più. Non è questa l’Europa, l’Europa che nel 2012 ha vinto il premio Nobel per la Pace per il suo “never again”, cioè il proposito di mai più fare ricorso all’opzione militare dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale».

L’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi, intervistato dal Corsera, non ha invece taciuto i suoi dubbi verso gli Usa.  «Chiediamoci – ha detto Prodi- perché gli Stati Uniti privilegino l’alleanza con i Paesi est-europei; perché Joe Biden sia andato a Varsavia ma non a Bruxelles. Se quella di dividere i nove Paesi orientali dall’Europa dei fondatori è una strategia, si porranno presto scelte drammatiche anche per il nostro governo».

Subito dopo il 24 febbraio 2022 l’ex fondatore de L’Ulivo aveva indicato la necessità da parte Ue di chiamare in gioco la Cina come reale interlocutore della strategia che vede contrapposti Washington con Pechino.

Di fatto solo dopo un anno di inenarrabili sofferenze e lutti, è arrivata la proposta di mediazione cinese che, tuttavia, ha incontrato, finora, lo scetticismo da parte Usa che ha accusato la Cina di fornire armi alla Russia.

Una situazione che appare senza via di uscita e che nessuna forza politica della maggioranza trasversale che sostiene l’invio di armi a Kiev intende mettere in discussione, restando fedele all’idea che solo un forte riarmo dell’Ucraina può condurre ad uno stallo tale da rendere inevitabile il negoziato.

Anche la neo segretaria del Pd Elly Schlein, che pure si definisce pacifista, sa che non può deviare dalla linea adottata con convinzione da Letta, pena la rottura del partito – come avverte l’autorevole senatore Zanda. Come ribadisce il ministro della Difesa Guido Crosetto «la guerra in Ucraina è una battaglia per la libertà, una battaglia per il diritto internazionale, una battaglia per l’Europa» precisando che «noi stiamo cercando di evitare la Terza guerra mondiale. Ma ci saranno altri fronti in futuro, come la Cina, l’Indopacifico e quello che dovremmo combattere in Africa» dove cresce l’estremismo islamico e la penetrazione economica cinese.

Una prospettiva che richiederà, necessariamente, sempre più investimenti in armi per «difendere l’interesse nazionale ovunque sia minacciato».

Foto LaPresse

È in questo quadro che occorre saper leggere il messaggio della marcia della pace promossa il 25 febbraio a Roma da Europe for peace con la riedizione, dopo il 5 novembre, degli interventi finali congiunti di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e il segretario generale della Cgil Maurizio Landini; che hanno ribadito l’istanza di una diversa politica estera che resta, tuttavia, minoritaria politicamente.

Il presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia, parla di «una politica che ha alzato un muro contro la società civile» per andare al dunque e chiedere: «davvero l’Europa può parlare con la voce di Stoltenberg, numero uno della Nato? Non si può considerare marginale il popolo della pace o disegnarlo come un complice del Cremlino: è un grave errore».

Genova 2 aprile 2022 Foto Davide Penna

Un’altra manifestazione molto partecipata si è svolta, lo stesso 25 febbraio, a Genova promossa da diverse sigle del sindacalismo di base su richiesta dei portuali del Calp che continuano a rifiutare di prestare il proprio lavoro per il trasporto di armi. Una scelta che va a colpire la filiera degli armamenti ponendo una questione di politica industriale (cosa e per chi si produce) che chiede agli altri sindacati, a partire dalla Cgil, una presa di posizione non teorica davanti a scelte non più rimandabili.

Il disastro della guerra in Ucraina fa emergere questioni fin qui rimosse. Manfredonia cita David Sassoli per ribadire che «l’Europa non è un incidente della storia, poiché è nata sulle ceneri del nazifascismo e si è data un orizzonte di pace. Ecco, noi dobbiamo lavorare, tanto più in questa fase storica, all’obiettivo della pace integrale: non solo la tregua, ma anche le condizioni giuste per ritrovare fraternità e giustizia».

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