Unione europea, la solidarietà come “arma” per uscire dalla crisi
Il presidente Giorgio Napolitano, in occasione a Torino del “Dialogo ad alto livello tra Italia e Germania” ha fatto un accorato intervento, avendo accanto il presidente Joachim Gauck, colui che l’anno scorso aveva voluto partecipare alla commemorazione dell’eccidio di 560 civili inermi perpetuato nell’agosto del ‘44 a Sant’Anna di Stazzema da parte di truppe tedesche.
Le parole di Napolitano, espresse con forza malgrado la fragilità emotiva dei vicini novanta anni, hanno avuto la lucidità e la determinazione di Schumann, Adenauer e De Gasperi, i grandi statisti che dopo quaranta milioni di inutili morti della seconda guerra mondiale, con l’ottimismo della speranza decisero di credere che quei popoli che si erano massacrati a vicenda potessero far parte di una unica realtà. Una scommessa che ad un occhio disincantato parse allora molto poco realizzabile, che ha fruttato per essi settanta anni di pace su un pianeta in cui il ricorrere al conflitto armato è purtroppo molto presente.
Napolitano ha invocato: «Basta meschinità, basta sfiducia nella buona fede altrui, basta pregiudizi tra due nazioni senza cui l’Europa non può esistere» e soprattutto «basta anteporre l’interesse del proprio Paese a quello dell’Europa intera»; altrimenti questa preziosa realtà finirà per autodistruggersi, rendendo nuovamente possibile, anche se la generazione Erasmus nata e vissuta nella pace lo direbbe impensabile, che si ricreino le condizioni per conflitti armati anche tra i nostri Paesi.
Un guardare alto ed in avanti, ma senza dimenticare: se i rapporti tra le nazioni sono governati dalla contabilità tra debiti e crediti, allora si dovrebbero conteggiare anche i danni per le uccisioni, le rapine dei beni pubblici e privati e le distruzioni dell’ultima guerra, ad esempio quelle subite dalla Grecia oggi così sotto accusa; debiti condonati alla Germania perché potesse rialzarsi, concedendole la fiducia che i nuovi governanti avrebbero agito diversamente dai precedenti; oggi non sono gli stessi governanti di settanta anni fa, ma anche essi dovrebbero evitare di pensare solo ai loro interessi elettorali.
Se invece vogliamo che governi una democrazia attenta a salvaguardare i più deboli, chi gestisce l’Europa deve nel presente evitare che la Grecia superi il limite di rottura, ed al più presto eliminare al suo interno disparità di trattamento figlie non della violenza delle armi, ma della capacità di influenza dei Paesi che -avendo ottenuto nella burocrazia europea particolari posti di potere -, permettono di sorvolare sulle furbizie di Paesi come Lussemburgo, Olanda, Irlanda, Gran Bretagna che per avere più introiti permettono alle grandi aziende di eludere le imposte che dovrebbero versare negli altri Paesi, da cui traggono i loro profitti.
Burocrati che con le loro procedure di infrazione possono ricattare, aumentandone il costo del debito, i Paesi che per rilanciare l’occupazione spendono più del previsto, ma che non hanno armi per far cambiar strada a chi mantiene contro le regole di Maastricht grandi surplus finanziari che deprimono l’inflazione e rendono impossibile agli altri Paesi di ridurre come previsto il debito, perché l’inflazione non contribuisce più a svalutarlo.
Occorre da parte dei governanti europei un ritorno ad un livello alto di fiducia reciproca, anche adottando misure completamente nuove, come deliberare che per i Paesi che aderiscono all’Euro sia la Banca Centrale Europea a finanziare il loro costo per la Comunità stessa, acquistando suoi bond a 50 anni senza interessi. In questo modo nei Paesi dell’Euro si avrebbe un vantaggio, si libererebbero cento miliardi all’anno di risorse per investimenti senza crescita del debito statale: un incentivo per altri Paesi ad aderire alla moneta comune, ed un contributo all’auspicato suo deprezzamento per rendere più convenienti le esportazioni.