Unione europea: il diritto all’unità
Con l’ingresso di Bulgaria e Romania, l’Unione europea è a quota 27. Tante le tappe raggiunte, anzitutto con il prevalere di regole comuni, ma che sempre più appaiono distanti dal sentire degli europei. Come distante resta quella costituzione per l’Europa che, firmata a Roma nel 2004, doveva entrare in vigore il 1º novembre scorso e che invece ha ottenuto consensi solo in 18 degli Stati membri. Eppure tutti sono concordi sul fatto che l’Europa per dirsi una ha bisogno di una carta che ne esprima fondamenti, valori ed obiettivi. Nel recente Consiglio dell’Ue, tenutosi il 14 e 15 dicembre, dei capi di Stato e di governo, essi hanno cercato di spiegare la situazione attuale e di individuare vie d’uscita, lasciando intravedere come lo scetticismo non è dato solo dal timore di maggiori poteri al Parlamento europeo, dal voto a maggioranza che sostituirebbe gli attuali equilibri dell’unanimità, o dalla necessaria visione comune in politica estera, sicurezza e giustizia. Il nodo centrale resta quello dell’allargamento dei confini, non solo quelli geografici, ma soprattutto quelli degli ideali dell’Unione. Se l’allargamento sin qui realizzato ha rappresentato un superamento di divisioni storiche e contemporanee, facendo dell’Europa comunitaria un’area di stabilità, di pace e di crescita economica, i popoli sono rimasti spesso spettatori di un’integrazione pensata e realizzata dall’alto. Ed a poco sono servite le richieste di colmare il deficit democratico o di impostare attraverso una partecipazione diretta (è l’idea della sussidiarietà) quella comunità di destino che secondo l’idea dei padri fondatori lega le differenti identità presenti nel Continente. Richieste che l’allargamento ha pensato di tradurre con lo spazio economico o con il mercato unico che da strumenti dell’integrazione ne sono diventati l’esclusivo obiettivo e che oggi si riflettono sulla capacità dell’Unione europea di assorbire nuovi membri solo se questi ultimi avranno dato garanzia in termini economici. Il rischio è duplice: da una parte 27 paesi sono arroccati nel difendere le situazioni acquisite e vedono una minaccia nell’ingresso di economie più deboli o di realtà sociali diverse; dall’altra c’è il tentativo di procedere a due velocità, determinando una rottura dello spirito unitario. Ci si accorge che tra i tanti diritti proclamati, ne manca uno, quello dei popoli all’unità, che vuol dire soprattutto capacità di comprendere l’altro – come singolo e come popolo – accogliendone bisogni e aspirazioni; e non solo quelle materiali.