Unione europea di nuovo in marcia

Lo scorso 13 dicembre, con la firma del Trattato di Lisbona, l’integrazione europea ha vissuto un’altra tappa del suo lungo e faticoso cammino. L’avvenimento è passato senza clamori, quasi a far percepire un’Europa incapace di scelte politiche ed istituzionali in grado di scalfire la sovranità dei singoli Stati. E invece la lettura complessiva del trattato evidenzia che si sono aperte prospettive nuove. Un solo dato: dal 2009 l’Unione sostituisce e succede alla Comunità europea, come recita l’art. 1. Questo significa dare concretezza alla dimensione politica, governando lo spazio comune: ambiente, istruzione, salute, occupazione, criminalità, sicurezza… A Lisbona è prevalso un sano realismo, distaccato da quella costituzione approvata a Roma nell’ottobre 2004, forse troppo avanzata per tutti (e non solo per gli euroscettici che l’avevano respinta). E così i 27 hanno ripresentato le grandi finalità, ma hanno modificato alcune regole base, indicando due direzioni per il cammino comune. Da una parte l’integrazione degli obiettivi, per stabilizzare ed ampliare alcune funzioni specifiche non legate solo all’idea del mercato unico. Spicca la politica estera comune per dare all’Europa una sola voce nelle grandi questioni internazionali, o l’interesse per il settore della libertà, sicurezza e giustizia da rafforzare nel rispetto delle garanzie fondamentali dei cittadini. Dall’altra l’integrazione dei simboli che traducono, contro ogni previsione, quel desiderio di sovranazionalità che sembra appartenere sempre più agli europei e non ai governi d’Europa. Ed ecco la nuova figura del presidente dell’Unione, con un mandato di due anni e mezzo; i più ampi poteri al Parlamento europeo, chiamato ad operare scelte legislative per rendere direttamente protagonisti i cittadini europei che lo eleggono o il voto a maggioranza che andrà a sostituire la frenante unanimità. Allarga lo scenario il valore vincolante attribuito alla Carta dei diritti fondamentali approvata a Nizza nel 2000 che impegnerà l’Unione (e i suoi Stati?) a garantire ogni diritto e libertà – e, purtroppo, anche interessi privi di reale fondamento antropologico ed etico – e non solo quelli economici e sociali. L’integrazione prosegue, dunque, e a valutarla dovrà essere il livello di sussidiarietà tra quanti ne sono parte e la dose di solidarietà verso il resto del mondo. Non dimentichiamolo.

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