Un’immagine che sconvolge tutti
La decisione di Cittanuova.it di non pubblicare la foto di Aylan, il bambino siriano trovato morto sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, ha suscitato molti commenti tra i nostri lettori. Ne riportiamo qualcuno, scusandoci con quanti non saranno citati e con quanti hanno avuto difficoltà nell'inserimento dei commenti all'articolo, reso difficoltoso da alcuni problemi tecnici in via di risoluzione
Sulla stampa, su Internet, in tv. Tutti ne parlano. Credo sia un bene, anche se tutto questo ingorgo di opinioni rischia alla fine di creare una “bolla speculativa” di parole e domani già saremo passati al prossimo assassinio dell’Isis, all’ammazzatina in famiglia, all’incidente stradale con quattro morti… Il sistema mediatico, come scrivevo ieri nell'articolo "Quella foto non andava pubblicata", ha una memoria sempre più corta.
Tra i commenti, pubblicati su Facebook e in calce all'articolo, tutti rispettosi e degni di nota, ci sono coloro che sono a favore e coloro che sono contro, ovviamente. Tra questi ultimi citerei Monica Ridolfi («Non sono d'accordo, ho capito cosa intende dire per carità… e ha ragione nel dire che la morte va rispettata, ma più ancora va rispettata la vita e soprattutto la vita dei nostri piccoli cuccioli che siano arabi palestinesi ebrei statunitensi o italiani. È una vergogna»), Luca Bozzolan («Non sono d'accordo. Mi sembra impossibile che di fronte a una realtà tanto tragica è inequivocabile si voglia partecipare a un dibattito di corollario… sul giornalismo. Meglio la semplicità, un parlare “si si no no”), e ancora Daniela Baudino («Però, se provo a guardare un po' meno di pancia la questione mi sembra che dobbiamo provare a separare gli ambiti di discussione … perché altrimenti rischiamo di cadere nell'equivoco per cui, perché un albero ha un ramo secco, allora tagliamo via anche tutto il resto. È difficile spiegarsi in questo spazio, ma provo a farlo: mi sembra che si vada incontro al rischio di "criminalizzare" qualsiasi cosa imbarcando dentro anche le cose che in realtà possono non essere così negative. Anche rispetto a questa stessa questione, il fatto che a Repubblica non usino il buon senso per impaginare il loro giornale (la pubblicità di una modella succintamente vestita che “guarda” l’immagine del piccolo sulla spiaggia nella pagina accanto, ndr) non può essere una colpa che ricade sul resto del mondo giornalistico che ha deciso, in vari modi, di pubblicare quella foto, e magari l'ha fatto cercando di mediare la situazione.
Poi per fortuna io non sono stata chiamata a dover decidere cosa fare di questa foto, se non sul mio profilo personale, dove non l'ho ricondivisa… però io personalmente non me la sento di biasimare in modo così netto chi ha deciso invece di farlo, sopratutto se l'ha fatto dopo una riflessione e, come nel caso di Calabresi, avendo nel corso del tempo cambiato idea»), Stefano Giannetti («Aylan aveva l'età delle mie figlie. Sono d'accordo con Calabresi, grazie a quella foto ora chiunque ha un figlio o un nipote che è morto affogato scappando da un conflitto. Piuttosto è necessario raccontare quello che la foto non può raccontare: la storia di Aylan. Servirebbe ad onorare la sua morte, dando sostanza a quella immagine, e subito a trascendere quella sostanza per celebrare la sua vita»), Ferdinando Garetto («Io invece condivido in pieno le argomentazioni di Mario Calabresi con cui ha mo tivato la scelta sofferta di pubblicare la foto su La Stampa e inviterei Città Nuova a darne spazio almeno in un link. Forse alcuni non hanno bisogno di immagi ni del genere, ma per altri è necessario sbatterci dentro, perchè non sia consen tito un giorno dire "io non lo sapevo". E non sempre bastano conchiglie, barche e giunchi per scuotere animi intorpiditi dal razzismo alimentato dalla paura e i nfiammato dal populismo. C'è bisogno di provare angoscia, vedendo nell'altro un po' di noi stessi. A volte serve anche una foto») e Nadia Brenta («Anch'io non sono d'accordo pur giudicando questa di Città Nuova e molti altri una posizione rispettabilissima. Penso però che una immagine così tragica (ma rispettosa) possa scuotere e interrogare ognuno»).
Poi per fortuna io non sono stata chiamata a dover decidere cosa fare di questa foto, se non sul mio profilo personale, dove non l'ho ricondivisa… però io personalmente non me la sento di biasimare in modo così netto chi ha deciso invece di farlo, sopratutto se l'ha fatto dopo una riflessione e, come nel caso di Calabresi, avendo nel corso del tempo cambiato idea»), Stefano Giannetti («Aylan aveva l'età delle mie figlie. Sono d'accordo con Calabresi, grazie a quella foto ora chiunque ha un figlio o un nipote che è morto affogato scappando da un conflitto. Piuttosto è necessario raccontare quello che la foto non può raccontare: la storia di Aylan. Servirebbe ad onorare la sua morte, dando sostanza a quella immagine, e subito a trascendere quella sostanza per celebrare la sua vita»), Ferdinando Garetto («Io invece condivido in pieno le argomentazioni di Mario Calabresi con cui ha mo tivato la scelta sofferta di pubblicare la foto su La Stampa e inviterei Città Nuova a darne spazio almeno in un link. Forse alcuni non hanno bisogno di immagi ni del genere, ma per altri è necessario sbatterci dentro, perchè non sia consen tito un giorno dire "io non lo sapevo". E non sempre bastano conchiglie, barche e giunchi per scuotere animi intorpiditi dal razzismo alimentato dalla paura e i nfiammato dal populismo. C'è bisogno di provare angoscia, vedendo nell'altro un po' di noi stessi. A volte serve anche una foto») e Nadia Brenta («Anch'io non sono d'accordo pur giudicando questa di Città Nuova e molti altri una posizione rispettabilissima. Penso però che una immagine così tragica (ma rispettosa) possa scuotere e interrogare ognuno»).
Tra i commenti favorevoli al post, citerei invece Oreste De Rosa («Hai ragione ed aggiungerei che è molto triste quando alcuni giornalisti compensano il vuoto dei propri contenuti sbattendo sul giornale foto delle disgrazie e della disperazione della gente. È mercificare l'ultimo, il più indifeso, ossia la persona schiacciata dal dolore. Forse però può esistere una eccezione quando la morte rischia di diventare contabilità: 50 morti, 100 morti. In quella foto vista stamani io ho avuto un duro risveglio. La morte non è fatta di numeri. La morte è infinito dolore. La morte di un bambino è una tragedia per cui non esistono parole. E la foto ne è la testimonianza più vera. Il solo fatto, prima di dare spazio alle opinioni. Io penso che tutti abbiamo rivisto in quella foto i nostri figli, i nostri nipoti. Urge fare qualcosa per i popoli del sud del Mediterraneo, mai così martoriati»), Alberto Barlocci («Scusatemi, certo Michele non ha bisogno di essere “difeso” (e certo qui nessuno lo offende ne attacca). Ma quello che si deve evitare nei media è questo risultato che riproduco con queste due pagine de La Repubblica. Si arriva al paradosso che la modello guarda proprio a sinistra, stupita o curiosa… Sono questi i rischi della banalizzazione che chi pratica il giornalismo con passione e libertà non se la sente di correre e non è giusto correre. Lo dico con tutto rispetto per chi la pensa diversamente e, come me, oggi è addolorato e indignato per quanto accade. E questo ci unisce»), Ale Waitforit Missi («Profondamente contrario alla sofferenza in diretta e sulla carta stampata… Diventa abitudine, ti anestetizza, ti toglie la capacità di reagire con compassione davanti alla sofferenza quando ce l'hai accanto. Uccide la carità»), Lucia Ciotola («Sì, non andava pubblicata assolutamente. Si specula anche su queste tragedie…»), Ortensia Gioia, («Ma mancava purtroppo questo bambino,per scuotere le coscienze? Ma quanti ne abbiamo visti sulle nostre spiagge?») e Marco Mascellani («Ho visto quella foto proprio mentre stavo pubblicando sulla mia pagina FB, fra le tante foto delle vacanze, anche quelle dei miei bimbi che giocano felicie spensierati sulla spiaggia. Quale contrasto più forte, stesso paesaggio ma sentimenti opposti… e quasi un senso di colpa: come possiamo vivere momenti così felici e spensierati quando altre famiglie vivono immani e inumane tragedie? Doverosa e importante la riflessione di Michele che condivido pur non sentendomi di giudicare chi ha fatto altre scelte. Sulla mia pagina ho pubblicato l'immagine di quel bimbo e del suo fratellino da vivi, perché la loro speranza in un futuro lontano da guerra e violenza resta viva in tanti che sono ancora nelle zone di guerra, sulle coste turche o libiche in attesa di una barcone, alla stazione di Budapest in attesa di un treno o sui sentieri erbosi tra l'Ungheria e l'Austria in cerca di un passaggio. Che Dio gli aiuti e che dia a noi a ed al popolo Europeo la saggezza della solidarietà e dell'accoglienza a braccia aperte»).