Ungheria, il viaggio di Francesco

Dal 12 al 15 settembre papa Francesco visiterà l'Ungheria e la Slovacchia. A Budapest presiederà la messa finale del Congresso eucaristico internazionale. Nostra intervista all'Ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede ed il Sovrano Militare Ordine di Malta, S.E. il Sig. Eduard Habsburg-Lothringen.

I magiari, come i polacchi, sono coscienti che nel loro percorso storico, di fronte alle grandi potenze europee, possono ringraziare anche il ruolo che il cristianesimo ha avuto per poter sopravvivere come Stato. Un ruolo importante lo hanno avuto i vescovi di Roma. Come valuta oggi il rapporto tra il Vaticano e lo Stato ungherese?

Gli ungheresi, fin dall’inizio dai tempi di re Stefano, più di mille anni fa, hanno avuto sempre relazioni cordiali con i papi di Roma. Infatti, re Stefano decise la conversione al cristianesimo della sua nazione e papa Silvestro gli mandò una corona reale, la parte superiore dell’attuale corona d’Ungheria. Il fatto che la sua corona sia anche oggi visibile in Parlamento, nel cuore di Budapest, costituisce una memoria indelebile per il nostro popolo. Nel 1026 fu fondato il primo ospizio dei pellegrini ungheresi a Roma accanto all’antica basilica costantiniana. Si tratta del Santo Stefano Minore demolito nel 1776 durante la costruzione della Sacrestia nuova della nuova Basilica di San Pietro. Altro simbolo che attraversa i secoli è la chiesa nazionale ungherese a Roma, Santo Stefano Rotondo. La cappella ungherese situata sotto la Basilica di San Pietro è stato un regalo del papa affinché gli ungheresi avessero una “casa” nel cuore della cristianità. Anche oggi le relazioni sono cordiali e calorose, come si vede anche dal fatto che il papa degna la nostra nazione di una visita per il Congresso eucaristico a Budapest, cosa assai rara nella storia dei congressi.

Nel 1938 si era già svolto un Congresso eucaristico internazionale a Budapest. Perché è stata scelta di nuovo la capitale dell’Ungheria? Si possono intravedere dei parallelismi tra quel Congresso e l’attuale?

I motivi per il quale è stata scelta la capitale dell’Ungheria bisogna chiederlo al Santo Padre. Una piccola curiosità storica è che, anche nel 1938, il Congresso eucaristico dell’anno precedente si era svolto nelle Filippine. Il Congresso a Budapest del 1938 ebbe anche un significato che divenne evidente solo molto più tardi. Molti dicono che questa grande esperienza di fede fu un fattore importante nel permettere ai cattolici ungheresi di sopravvivere alla conflagrazione mondiale e alle sofferenze della dittatura atea che sarebbe presto seguita. Forse il 52° Congresso eucaristico internazionale può assumere un significato speciale nel contesto della pandemia da Covid. Penso che, avendo sperimentato la nostra fragilità, molti di noi non vedono l’ora di imparare di più sulle grandi domande della vita e della fede. Lo scopo del Congresso, nelle parole del cardinale Peter Erdo, è «servire il rinnovamento spirituale della nostra comunità di fedeli, della nostra capitale, del nostro popolo, dell’Europa e del mondo».

Come si prepara l’Ungheria al Congresso e alla visita di papa Francesco?

Gli ungheresi si preparano a questo congresso già da anni visto che pregano per questo evento alla fine di ogni santa messa fin dal momento in cui il Congresso è stato annunciato nel 2016. Concretamente speriamo che anche ai tempi della pandemia il Congresso sia un incontro vivace di cristiani da tutto il mondo per incontrare Cristo nel quale abbiamo tutti la nostra fonte comune. La preparazione, naturalmente, comporta anche le misure di sicurezza per il Covid. Siamo contentissimi ed onorati che il papa ci visiti e assicuro che il popolo ungherese lo accoglie con grande cordialità.

I magiari hanno donato tanti santi al mondo durante la loro storia più che millenaria. L’ultimo è stato il re dell’Ungheria Karol IV, appartenente alla sua famiglia, che è stato beatificato da papa San Giovanni Paolo II nel 2004. Che istanze di speranza promuove oggi la chiesa ungherese?

Mi dà speranza il fatto che l’Ungheria abbia una chiesa cattolica viva e presente in tutta la società. Spero che il Congresso eucaristico incoraggerà ancora più i giovani nel mettersi in cammino verso la via indicata dal Signore. La nostra grande speranza è che, nei prossimi anni, possa finalmente riempirsi il grande sogno di milioni di ungheresi e possa essere beatificato il nostro grande cardinale Mindszenty. Uno dei passi più importanti è stato compiuto perché è stato dichiarato Venerabile da papa Francesco nel febbraio 2019. Adesso ci vuole un’ulteriore miracolo per procedere.

È stato sempre vivace il rapporto culturale e spirituale tra Italia ed Ungheria, tra la chiesa ungherese e la Santa Sede. Come vive oggi la comunità ungherese in Italia?

Io direi che sia simbolico il fatto che la comunità ungherese in Italia si raduna soprattutto attorno alla celebrazione della santa messa. Questo è l’evento centrale della nostra comunità. Abbiamo un sacerdote responsabile per le comunità ungheresi in Italia, il Rettore Norbert Németh, e lui viaggia instancabile attraverso l’Italia per radunare i compatrioti attorno l’altare del Signore. A Roma questo si esprime in una messa settimanale celebrata sotto la Basilica di San Pietro ogni martedì; ed in una messa mensile presso Santo Stefano Rotondo. Poi spesso prendiamo insieme una grappa ungherese, un vino o dei dolci della nostra patria.

Si moltiplicano le accuse contro l’Ungheria per la sua politica verso i migranti. Allo stesso tempo pochi conoscono l’impegno dello Stato, oltre le proprie possibilità, per aiutare chi è rimasto indietro con il programma Hungary Helps. Potrebbe parlare di entrambe le problematiche?

Su una questione globale così pressante come la migrazione, diversi governi di diversi paesi dell’Europa possono comprensibilmente avere delle opinioni diverse. Papa Francesco l’ha detto molto bene – lo ricordo nel 2018, durante il consueto incontro diplomatico di Capodanno – che la Santa Sede «non vuole interferire in decisioni che sono di competenza degli Stati, perché questi ultimi hanno la responsabilità primaria di assicurare l’accoglienza alla luce della propria situazione politica, sociale ed economica e della propria capacità di accoglienza e integrazione». Forse il miglior modo di rispondere sarebbe raccontare un incontro che ho avuto col Santo Padre in piazza San Pietro due anni fa. In quell’occasione ricevette un gruppo di giovani cristiani provenienti da ambienti socialmente difficili che studiavano con borse di studio statali del Programma Hungary Helps. Il Santo Padre espresse il suo sincero apprezzamento per il modo in cui l’Ungheria aiuta le comunità in difficoltà e la sua sincera gratitudine per il fatto che questi giovani torneranno a casa per costruire il futuro del proprio Paese con le conoscenze e le opportunità che hanno ricevuto in Italia. E nella solita foto di gruppo, il papa stesso ha voluto tenere la bandiera ungherese…

L’Europa è attraversata da una grave crisi demografica e dal calo delle nascite. Qual è l’impegno dello Stato ungherese per sostenere la famiglia?

L’Ungheria ha intravisto questo pericolo anni fa e ha deciso di agire. Il governo Orbán ci lavora da nove anni e abbiamo ottenuto risultati meravigliosi: un aumento dei matrimoni del 40%, una diminuzione dei divorzi del 25% e soprattutto una diminuzione degli aborti del 30%.  Chiaro che per un tale cambiamento è indispensabile la volontà del governo ad impegnarsi per le famiglie, aiutandole e mandando il messaggio che tanti figli rappresentano un regalo per la società. Le famiglie vanno aiutate economicamente, con prestiti a fondo perduto, tasse ridotte o abolite e aiuti finanziari per la casa, o per altre esigenze. Questo è il messaggio che persone, come la nostra ministra per la famiglia Katalin Novák, portano ai Paesi dell’Europa e in tutto il mondo cercando di convincere altri Paesi a seguirci.

Che contributo valoriale l’Ungheria può dare all’Europa?

Osservo che nei Paesi Occidentali dell’Europa si mettano in dubbio tanti valori importanti che erano cari ai fondatori dell’Europa come Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Robert Schuman. Penso che questo sia anche il risultato degli anni della contestazione del ’68 e di una certa decadenza. Forse un Paese centro-europeo che ha dovuto lottare per valori base come fede, famiglia, nazione per decenni potrà dare un contributo importante.

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