Un’Europa senza Unione?
Strano destino, quello dell’Europa. C’è chi l’accusa di essere una specie di nuovo Leviatano, di invadere le competenze degli stati, di soffocare le identità nazionali con leggi e decisioni troppo pervasive. C’è, al contrario, chi l’accusa di essere un ectoplasma politico, di non far nulla per risolvere i “problemi della gente”, di non contare sulla scena internazionale. A seconda dei casi, l’Europa è onnipotente e arrogante; oppure fiacca e addirittura inesistente. Ciò che sorpende è che spesso questi due giudizi, drammaticamente opposti, finiscono per essere pronunciati, come nel caso di Le Pen, da uno stesso pulpito. Qual è dunque la “verità sull’Europa”? Vi sono almeno due verità e almeno due falsità. La prima verità è che l’Europa, al suo interno, ha privilegato burocraticamente, per troppo tempo, nella sua legislazione, la standardizzazione e l’omologazione, non tenendo conto che la diversità è un patrimonio irrinunciabile e distintivo del nostro Continente. La seconda verità è che l’Europa, al suo esterno, non ha una presenza politica nel mondo paragonabile alla sua storia, al suo peso economico, alle sue capacità di mediazione e di stabilizzazione delle aree più turbolente. Né, tantomeno, essa svolge un ruolo proporzionale alle sue possibilità di intervenire per alleviare le troppe aree di arretratezza, sottosviluppo e fame, fucine di risentimenti che possono talvolta costituire l’anticamera della scelta (ingiustificabile sotto ogni profilo) del terrorismo. Sullo sfondo di queste verità, le falsità suonano ancora più demagogiche. La prima falsità è che l’Europa debba risolvere, oggi, tutti i problemi delle nostre “insicure” società. In realtà in tutto l’occidente la politica, ad ogni livello, deve fare i conti con il tema difficile della sicurezza, intesa nel senso più ampio: delle nostre città, dei nostri Una manifestazione anti Le Pen in Francia. La sorprendente affermazione del leader dell’estrema destra alle presidenziali ha finito per compattare il fronte anti Le Pen. Ma il successivo plebiscito per Chirac non esonera da una riflessione sulle cause del voto di protesta in chiave nazionalista. paesi, dei cibi sulle nostre tavole, dell’aria che respiriamo, dell’ambiente in cui viviamo, delle opportunità di lavoro e di sviluppo, della qualità della vita. Pochi ricordano che l’Europa ha, da un lato, un bilancio striminzito, pari al massimo all’1,27 per cento del prodotto interno lordo di tutta l’Unione; dall’altro, non possiede le competenze per poter intervenire in campi dove gli stati conservano ancora gelosamente tutti i poteri giuridici e finanziari. E se anche avesse i mezzi, vorremmo seriamente che l’Europa si trasformasse, per fare tutto ciò, in un vero e proprio superstato? La seconda falsità è che l’Europa non conti nulla sulla scena internazionale. L’Unione sta compiendo, con l’allargamento ad Est e a Sud, la più grande e duratura opera di pacificazione e democratizzazione del mondo contemporaneo, assai più di quanto possano fare la Nato o le stesse Nazioni Unite. Sta infatti accogliendo, e non certo incondizionatamente, paesi che o erano fino a poco tempo fa sotto la dittatura del proletariato o che sono tuttora percorsi da segnali di instabilità (si pensi alla Turchia). Senza dimenticare che, anche in campo politico-militare, l’Unione europea è un insieme composito. Basti pensare, ad un estremo, al ruolo di Francia ed Inghilterra, potenze nucleari, con seggi permanenti nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (che sarebbe certo meglio trasformare in un “seggio europeo”); all’altro estremo, agli stati con uno statuto di permanente neutralità internazionale, come Austria, Finlandia e Irlanda. Non si può perciò dire, a cuor leggero, che Le Pen dia “risposte sbagliate a domande giuste”. In realtà, sono proprio le domande retoriche del leader del Fronte Nazionale ad essere sbagliate. Perché esse evocano, con l’insistenza ossessiva sulla sicurezza, l’idea dello stato forte, accentrato, interventista; dello stato sovrano che non riconosce alcun limite al suo potere, né all’interno né all’esterno; dello stato che, con la scusa dell’identità nazionale, si identifica inequivocabilmente con una “sola” nazione. Idee che nel XX secolo tante miserie, lutti, deportazioni hanno causato ai popoli europei e in tutto il mondo. L’Europa è un’alternativa, certo molto incompleta e parecchio difettosa (e per questo è al lavoro una “convenzione”, democratica e rappresentativa, per ripensarla dalle fondamenta) a quella che Padoa Schioppa ha definito “l’illusione pagana di un potere statale assoluto “. Se essa possa fondare la realtà di un nuovo “concerto” degli stati e dei popoli, fatto di mille identità ma anche di condivisione, in un quadro politico-istituzionale comune che tuttavia valorizzi al massimo le specificità, è un’ardua scommessa che la Convenzione europea di Bruxelles ha coraggiosamente raccolto. La perderà se vinceranno i fantasmi delle nostre pur umanissime paure; la vincerà se daremo respiro, con fiducia, responsabilità ed apertura, al nostro impegno di cittadini critici e maturi. Certamente, non esiste una sola visione dell’Unione; ma è seriamente pensabile, oggi, un’Europa senza l’Unione? Chi lo pensa è da rispettare; non certo da seguire.