Un’emergenza con poche risposte

Le soluzioni allo sbarco dei migranti sono state tardive, non coordinate e si sono affidate alla generosità dei lampedusani. Perché?
lampedusa

Nuovi sbarchi a Lampedusa: 249 persone sono arrivate la notte scorsa e sono state inviate, grazie ad un ponte aereo allestito in tutta fretta e senza neppure essere identificate, in un centro di accoglienza. Dove? Non è dato saperlo. È uno dei tanti interrogativi che ci si pone su quest’isola dove, per protesta, stamattina una ventina di tunisini, allarmati dalla notizia dei rimpatri forzosi e dall’assenza di comunicazioni ufficiali, si sono stesi per terra, bloccando la strada principale, mentre cominciava la demolizione della “collina della vergogna”.

 

Perché tempi così lunghi? Perché si è arrivati ad una vera e propria emergenza umanitaria? Perché pur avendo percepito in tempo l’ondata di profughi che dal Nordafrica sarebbe sbarcata sulle nostre coste si è agito con ritardo? Ieri dalla Palladio, la nave che fa spola con Portoempedocle per rifornire Lampedusa di generi alimentari è sbarcata finalmente una cucina da campo mobile. Sono due settimane che i pasti risultano insufficienti e vengono compensati da lampedusani che offrono ovunque bevande e alimenti.

 

L’accusa di duemila persone senza cibo brucia come una ferita in un Paese che sui diritti umani ha firmato convenzioni, si è battuto per i diritti umani e ora sotto i riflettori del mondo mostra l’impotenza di fronte a seimila giovani affamati non solo di cibo, ma anche di libertà. Il presidente del consiglio ha parlato ieri di «tsunami», riferendosi alle vicende nordafricane. Ha usato la metafora di un evento naturale imprevedibile, ma era davvero tale? Il ministro dell’interno Maroni in realtà qualche previsione l’aveva fatta: i numeri non si avvicinano ancora agli apocalittici 50 mila, ma indubbiamente questa prima ondata migratoria, ne fa intravvedere altre.

 

L’Italia si è trovata impreparata e nell’emergenza ha arrancato: palese è stata una mancanza di coordinamento delle operazioni, che ancora ieri faceva rimbalzare responsabilità da una prefettura all’altra. Prime prove fallite di federalismo, verrebbe da dire… Perché decidere così tardi la riapertura del centro, perché i ponti aerei non sono cominciati immediatamente, perché la protezione civile non si è precipitata ad intervenire, come in altre situazioni? L’isola è stata trasformata in un deposito umano, dove ogni spazio libero veniva occupato senza controllo: impossibile per le forze dell’ordine poter sorvegliare tutti i migranti sbarcati che per giorni hanno vagato sulle strade e per le campagne.

 

Queste domande sono macigni e sono le prime a cui il Presidente del consiglio prova a rispondere di fronte ai lampedusani. In un primo momento volevamo rimpatriarli, ma non riuscivano a trovare referenti istituzionali in Tunisia, bisogna incontrarsi con gli altri governatori per capire quali siti allestire, ci sono stati dei no condizionanti. Ma nell’attesa era davvero improponibile attivare soluzioni d’emergenza? Almeno per i minori, anche loro per giorni in balia di nessuno, prima di essere ospitati assieme alle donne nell’ex base americana Loren. «Volete sapere se è una soluzione comoda?», diceva il sindaco ieri a noi giornalisti. «No, non lo è». Anche perché girando tra le tende improvvisate e tra le strade i 500 ragazzi censiti, risulterebbero tanti di più. Le organizzazioni a tutela dell’infanzia sono tante, alcune legate anche ad organismi internazionali, affidare tutto a un piccolissimo presidio di “Save the children” non è troppo poco? 

 

Poi c’è lo scempio igienico-sanitario che è stato imputato alla negazione di autorizzazioni da parte del sindaco dell’isola all’allestimento della tendopoli. In realtà man mano che i giorni passavano, almeno sull’allestimento dei bagni si sono riviste le posizioni e padre Stefano Nastasi, il parroco ha offerto un terreno della parrocchia, ma l’offerta non è stata presa in alcuna considerazione. Lo stesso sacerdote ha proposto una convenzione con i ristoranti dell’isola per garantire pasti caldi, ma anche su questo silenzio assoluto e diniego finale. Sulla scarsità di cibo, in conferenza stampa il premier ha negato l’evidenza e smentito le stesse dichiarazioni del sindaco con notevole veemenza. Eppure basta andare nei panifici dell’isola per vedere le file e la ressa per il pane, oppure vedere l’assiepamento attorno alle scatole di cibo che alle 22 di ogni sera i volontari della parrocchia hanno distribuito in alcune piazze. Ora c’è la cucina da campo, ma 1450 immigrati sono partiti e poi ci vogliono i tempi tecnici, le autorizzazioni e quindi i portelloni di quella cucina sono ancora chiusi. Il camion che la trasporta è fermo al porto davanti alla collina della vergogna, davanti a quelli che invece non hanno vergogna a chiedere cibo, ne hanno urgente bisogno.

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