Un’educazione ai social è possibile?
Il rapporto tra social media e figli rappresenta una delle sfide educative che un genitore si trova a dover affrontare. A quale età è giusto iscriverlo? E su quali social? Lo dobbiamo fare insieme o posso lasciarlo navigare da solo così fa esperienza? Devo conoscere tutti i social che frequenta mio figlio? Si potrebbe andare avanti a lungo nell’enunciare tutte le possibili domande che possono giustamente sorgere a un genitore che per la prima volta nella storia dell’uomo si trova a dover educare anche a questo nuovo ambiente. Un ambiente che, nonostante tutto, rimane ancora poco conosciuto. I genitori più spaventati parlano di figli “dipendenti dallo smartphone”, non più in grado di parlarsi di persona e sempre pronti a isolarsi davanti allo schermo del dispositivo tecnologico. Quelli un po’ meno preoccupati cercano di trovare gli aspetti positivi dei social media e non rinunciano a osservare le capacità relazionali ancora presenti nel figlio. Al di là di quella che può essere la posizione personale di ciascun genitore, alla luce di quanto abbiamo detto finora, possiamo sostenere che i social media contribuiscono alla costruzione identitaria e incidono nel modo di relazionarsi di ciascun essere umano.
A tale proposito una mamma, al termine di una conferenza, ha preso la parola e, con un filo di nostalgia, ha messo in luce con estrema semplicità questo paradosso della modernità. Da quando lo smartphone è entrato nella nostra famiglia facciamo molta più fatica a comunicare tra noi. Ognuno passa il suo tempo libero sui social a commentare, chattare, guardare video… non ci parliamo più.
Ma come, i social media sono nati per aumentare le nostre possibilità comunicative e nelle famiglie, il luogo per eccellenza in cui ci si dovrebbe relazionare, si parla di meno anche a causa loro? Come mai si continua ad anticipare l’età in cui si regala ai figli uno smartphone e un tablet se tutto questo si traduce in un peggioramento delle relazioni all’interno delle mura domestiche?
Eppure sono sempre di più i ragazzi al di sotto dei 13 anni che possiedono uno smartphone e aprono almeno un account su un social media, cominciando così la loro navigazione, con contenuti personalizzati, in solitudine. Del resto, i dati lo dimostrano in maniera impietosa, a guidare la scelta di un genitore non sembrerebbe esserci una valutazione di tipo educativo, come potrebbe essere la presunta maturità del figlio, quanto piuttosto la sempre maggiore accessibilità economica di smartphone e tablet, insieme all’idea, tutta da dimostrare, che questi dispositivi siano necessari a qualunque età. Questa corsa al digitale o, potremmo dire, all’essere tutti più social, non tenendo conto della differenza generazionale, ha messo tutte le persone sullo stesso piano e creato numerose incomprensioni e difficoltà. Oggi si continua a rincorrere l’utopica idea di un’educazione digitale di tipo cognitivo e comportamentale, che insegni cioè ai ragazzi a utilizzare questi nuovi media in maniera corretta e sicura, non mettendo mai in discussione il modo in cui vengono utilizzati dagli adulti, i messaggi che essi veicolano con le loro scelte e la dimensione socio-politica collegata a questi nuovi media della comunicazione. […]
I primi a essere in difficoltà nella gestione dei social network sono proprio gli adulti ed è per questo inutile invocare un’educazione digitale a scuola se non si parte prima da se stessi, dal modo di restare connessi, dal significato che si dà all’essere su un social. Bisogna cominciare da qui, dalle domande e dai dubbi che sorgono quando si decide di stare all’interno di un social network, dalle letture critiche che aiutano a comprendere il cambiamento che sta avvenendo, dall’osservazione di come questi potenti media stiano modificando il proprio modo di entrare in relazione all’altro. Da questo punto di osservazione è poi possibile chiedersi se il proprio figlio, al livello di sviluppo in cui è arrivato, ha davvero la necessità di utilizzare il social o se è meglio che se ne stia alla larga ancora per un po’.
Occorre che i bambini imparino a parlare prima che a utilizzare le emoji, che provino a esprimere i propri sentimenti di fronte a un altro essere umano senza utilizzare uno smartphone, che riescano a distinguere un palcoscenico dalla vita reale:
per tutto questo, che piaccia o no, serve la testimonianza vera, e per questo anche imperfetta, di un adulto.
da “Nasci, cresci e posta. I social media sono pieni di bambini: chi li protegge?” di Simone Cosimi e Alberto Rossetti