Un’agenda di speranza per il Paese

Il documento di Umanità nuova presentato in vista dell'appuntamento di Reggio Calabria punta al dialogo e alla città, per ritrovare fiducia e progetti per il futuro
Settimane sociali

«Un tempo di grazia». Nonostante le emergenze e la crisi economica, finanziaria, ambientale. Così legge questo momento storico Umanità nuova, espressione sociale del Movimento dei focolari, che in vista della 46a Settimana sociale di Reggio Calabria, prevista per ottobre, ha voluto offrire un proprio documento.

 

La sfida è «cogliere l’amore di Dio verso l’umanità di oggi», afferma l’incipit del contributo, e provare a rendere quotidiana e vivibile «una cultura della resurrezione chiamata ad illuminare e a dare senso e speranza» in un Paese di conflitti e contraddizioni. Del resto compito delle Settimane sociali è proprio quello di interrogarsi su aspetti della realtà nazionale e proporre una lettura cristiana, condivisa e attiva dei problemi e delle vicende storiche.

 

«Il nostro guardare al Paese, con particolare attenzione al Mezzogiorno, vuole essere espressione, appunto, di quell’amore intelligente e solidale che sta alla base di uno sviluppo vero e giusto, condiviso da tutti, per tutti e alla portata di tutti», specifica il movimento, nato da Chiara Lubich, facendo riferimento anche al recente documento dei vescovi per il Sud.

 

Bando però ai sentimentalismi. Nella proposta sono indicate due vie di lavoro concrete, due proposte attuative e la metodologia da adottare. In riferimento a quest’ultima, si precisa infatti che è il «discernimento comunitario» il metodo che consente di interpretare i processi e di orientare il mutamento, secondo «uno stile profetico che educa a sperare», senza imposizione di punti di vista esclusivi ed escludenti. Quindi si cambia, si lavora, si pensa, ma insieme.

 

Il dialogo è, in questo contesto, lo strumento principe soprattutto per costruire comunità attive, «palestre in cui sperimentare nella qualità delle relazioni l’energia trasformatrice che promana dal Vangelo vissuto e, allo stesso tempo, ricondurre ad un’effettiva unità interiore – spirituale e culturale – l’essere credenti e l’essere cittadini». Il dialogo, proposto da Umanità Nuova, si configura come un’arte, dove non ci si aspetta dall’altro: «Chi è animato dal desiderio di dialogare prende per primo l’iniziativa di gettare ponti di apertura, di stima, andando senza indugio incontro all’altro». «Il dialogo – si precisa ancora nel documento – è un esercizio permanente, dove l’altro è riconosciuto nella sua unicità e nel contributo attivo che può dare alla comunità anche se le posizioni sono diverse». Che fine fanno in questo contesto i valori? Se da un lato disegnano l’identità delle persone, dall’altro non possono essere steccati che dividono, i valori, secondo Umanità nuova, «possono farsi luogo d’incontro, terreno per un dialogo rigoroso, autenticamente laico e competente».

 

La città, seconda pista di lavoro, diventa il luogo naturale, dove questo dialogo si esercita. La città «con il suo clima di inospitalità e insicurezza, illegalità e abbandono», non è più un luogo a misura di persona: qui si polarizzano anche le ingiustizie e le disuguaglianze tra ricchi e poveri della modernizzazione. «Eppure la città resta lo spazio relazionale per eccellenza ed è qui che la comunità umana può imparare a vivere non più solamente “con l’altro”, ma “per l’altro”», si spiega ancora nella proposta.

 

Il documento, poi, rimanda ad un’espressione di Chiara Lubich: «Tutti saranno uno, se noi siamo uno», deducendone un progetto esportabile sul piano globale. Dentro i confini della città, «la capacità di relazione che caratterizza i piccoli gruppi costruisce più facilmente un ambiente favorevole, dove il dinamismo della quotidianità si dimostra vincente, capace di sovvertire le rigidità del potere e dei processi politici ed economici», e questo su larga scala può mettere in rete più città e vincere sulla frammentarietà e sulla società liquida contemporanea.Il «minimo» e la «responsabilità personale» diventano le piste da percorrere per l’umanizzazione delle comunità civili, investite del compito, non certamente facile, ma sicuramente affascinante, di trovare la vocazione della propria città, il suo posto specifico nella globalità mondiale.

 

Il contributo preparatorio si conclude, infine, individuando due proposte operative: allargare l’esperienza di Retinopera, progetto che riunisce vari gruppi laicali attorno all’attuabilità della dottrina sociale della Chiesa, e lavorare sulla cittadinanza agli immigrati.

 

La strada per le Settimane sociali a Reggio continua ad essere percorsa da piste di novità: ora però non servono navigatori solitari, ma pellegrini in gruppo che si interrogano sì, ma camminano spediti verso la meta, per il bene di tutto il Paese.

In allegato la versione integrale del documento (pdf).

 

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